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Che cosa dicono le donne per il Sì al referendum costituzionale

La riforma costituzionale è donna? Forse: è decisa, concreta, appassionata, come le donne che hanno partecipato a disegnarla e come quelle che la sostengono, come si dice nei comitati pro Sì. Lo hanno dimostrato le senatrici Rosa Maria Di Giorgi e Emma Fattorini, e il deputato Irene Tinagli, intervenute all’incontro su “Donne e Riforma Costituzionale” promosso da La Rete dei Sì e Basta un Sì, che si è tenuto a Roma presso la sede della rivista Iter Legis.

“DEMOCRAZIA E’ PARTECIPAZIONE”

Non si è trattato di un incontro “di partito”. La Rete dei Sì, ha ricordato il coordinatore nazionale Massimo De Meo, direttore della rivista Iter Legis, è un’aggregazione “plurale e pluralistica” che vuole dare vita a un nuovo modo di fare politica “basato sulla partecipazione, vera anima della democrazia”, sulla trasparenza e tracciabilità del fare del governo, sulla militanza sul territorio (“di cui la riforma non nega le specificità”) e sull’impegno civico, ha detto De Meo: “Non basta dire che questa è la costituzione più bella del mondo” senza avere un’idea di dove i principi che diciamo di amare sono sanciti. “La riforma non intacca in nessun modo la prima parte della Costituzione, quella che tutti vantiamo e che stabilisce i diritti dei cittadini italiani”, ma tocca solo “alcuni articoli della seconda parte del testo” con lo scopo di permettere di implementare meglio quei “bei diritti” previsti nella prima parte.

NEL DNA DELLE DONNE

La senatrice Rosa Maria Di Giorgi lo ha ribadito: “La seconda parte della costituzione viene riformata per affermare i diritti di cui si parla nella prima parte e che oggi non hanno trovato piena attuazione”. Compresi i diritti che riguardano le donne: la riforma costituzionale su cui siamo chiamati a votare il prossimo 4 dicembre, modifica l’art. 55 e l’art. 122 in modo da sancire la parità di genere anche nella rappresentanza governativa, centrale e locale. Ma non è solo qui che le donne hanno un ruolo nella riforma: “Hanno contribuito alla sua stesura in modo sostanziale, grazie alle idee e all’esperienza politica di tante donne”, ha ricordato la Di Giorgi; “questa riforma è nel Dna delle donne, perché dà ascolto a tante battaglie per le quali le donne si sono impegnate”. E ancora: “La riforma costituzionale ha molto del carattere femminile perché mira a rendere il governare molto più efficiente e concreto: gli uomini si perdono in chiacchiere infinite senza costrutto, le donne badano al risultato e questa riforma serve a creare un governo che produce risultati”.

QUOTE ROSA, NON CI PIACCIONO MA…

Ma c’è bisogno di “costituzionalizzare” la partecipazione femminile? Ha spiegato la senatrice Emma Fattorini: “Non ho mai amato particolarmente le quote rosa, ma, dati alla mano, il nostro paese non è riuscito a dare alle donne rappresentanza politica come agli uomini. Ci sono Regioni o Comuni dove le donne in politica non esistono. Le quote rosa non ci piacciono, ci vogliamo misurare sul campo e dimostrare che sappiamo fare come e meglio degli uomini- e molte donne lo fanno, ma la pari rappresentanza delle donne negli organi governativi è lontana e un cambiamento nella costituzione anche in questo senso è necessario”.

Proprio questo dovrebbe dare forza al convincimento che questa riforma “non è una deriva autoritaria, il governo di uno”, ha continuato la Fattorini, ma uno strumento per dare alla politica più voci, di più donne e di più uomini. E curare il male odierno della politica, “troppo distante dalle persone, avvertita come incapace di fare cose per la gente. La riforma crea una politica che si traduce in azioni concrete. Il vecchio sistema bicamerale si è trasformato in una rappresentanza formale e farraginosa”, ha concluso la Senatrice: “è molto più del cosiddetto ping-pong tra le Camere, è un senso di inutilità, perché facciamo troppe leggi, così tante che è impossibile attuarle: invece abbiamo bisogno di meno leggi, più applicazione”.

CHE COSA CAMBIA, IN CONCRETO

Ma perché secondo le donne del Sì il cambiamento è positivo? Lo ha spiegato Irene Tinagli: non si vuole calpestare la specificità dei territori, ma il regionalismo attuato nel 2001 è stato fallimentare e ha creato una frammentazione locale esasperata che non solo blocca la capacità di prendere decisioni e crea una serie infinita (e costosa) di contenziosi tra Stato e Regioni, ma moltiplica sistemi, norme e pratiche creando un’inefficienza spaventosa che sottrae forza all’Italia nelle sue politiche economiche e sociali interne ed estere, lasciando spesso perplessi i partner internazionali e ostacolandoci nell’attrazione di investimenti. “La Francia riesce benissimo a promuovere la forza della sua nazione”, ha detto la Tinagli. “Noi non possiamo andare in Cina a portare il Made in Italy con 20 rappresentanze diverse”.

Nel mondo globalizzato, insomma, l’Italia dei particolarismi si perde e intanto, a livello interno, la miriade di sistemi locali non compatibili blocca la modernizzazione delle infrastrutture e l’erogazione di servizi: dai sistemi informatici e banche dati della PA, alle piattaforme per far incontrare domanda e offerta di lavoro, fino alle reti di distribuzione dell’energia, l’Italia non può permettersi lo spezzettamento che impedisce di fatto ai cittadini di usufruire di servizi (come quando le piattaforme per il lavoro non si parlano) e moltiplicando i costi (come quelli in bolletta, per imprese e famiglie, quando manca un sistema di distribuzione dell’energia efficiente). E visto che si è parlato di donne, la Tinagli ha ricordato la questione di asili nido, fondi per le scuole, edilizia per le giovani coppie e assistenza agli anziani in cui le Regioni hanno l’ultima parola nel decidere come usare i fondi per scopi sociali messi a disposizione dallo Stato, a volte contro gli interessi dei loro stessi cittadini e cittadine.

“La riforma non vuole calpestare le Regioni”, ha chiarito la Tinagli: il loro ruolo resta, anzi, è così centrale che diventano il ‘nuovo Senato. Però, nel rispetto dei territori, portare i loro rappresentanti a Roma vuol dire cercare un coordinamento e evitare duplicazioni e sprechi. “Il coordinamento serve ad agire con più efficacia e trasparenza e anche a dare credibilità e responsabilità ai politici, di qualunque schieramento: se ci si impegna nei programmi elettorali a attuare determinati progetti non ci sarà più la scusa dell’avrei voluto farlo ma le Regioni mi hanno bloccato“.

AL DI LA’ DEL SI’ E DEL NO

Provocazioni a parte, non si tratta quindi di una riforma delle donne o di politiche per le donne, ma le donne sono in prima fila, accanto agli uomini, alla pari, per dare un volto più moderno e efficiente al nostro paese in termini di capacità di fare una politica che è utile. Intervenendo all’incontro su “Donne e Riforma Costituzionale”, Isa Maggi, di Stati generali delle Donne e Sportello Donna, ha ricordato di aver proposto al governo Renzi “Un patto per le donne”, documento che descrive gli obiettivi da raggiungere per il lavoro delle donne – obiettivi non calati dall’alto ma emersi dall’incontro con le donne di tutte le Regioni. “Non parliamo nemmeno più di donne per il Sì e donne per il No, le donne sono al di sopra di questo: siamo unite nel cercare la pari dignità nel lavoro e nelle opportunità economiche e una politica dall’azione concreta. Anzi, il Patto per le donne vuole creare un laboratorio di sperimentazione che non è solo italiano, ma europeo”.

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