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Banca Etruria e Banca Marche. Cosa succede sul fondo di risoluzione

Prima nella legge di bilancio, poi nel decreto fiscale, ora – forse – in un provvedimento ad hoc. La norma sul fondo di risoluzione, che consente agli istituti di credito di “spalmare” su più anni il conguaglio finale per il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, sembra non trovare un luogo consono. Sarà perché ha bussato a Palazzo Chigi ma il portone non si è aperto.

Della novità in questione hanno bisogno sia il governo sia le banche e il provvedimento prescelto – dopo che nonostante il parere positivo il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), l’aveva espunta dalla legge di bilancio – era il decreto fiscale. Si tratta di una somma totale di 1,8-2 miliardi che tutti gli istituti di credito italiani devono pagare al fondo di risoluzione creato per evitare il fallimento completo delle quattro banche. Nello specifico si prevede che il contributo venga versato ma che sia messo in bilancio spalmandolo fino a 5 anni. Si avrebbe dunque una situazione per cui si registrerebbe tutto l’ammontare per “cassa” che si ammortizzerebbe però in vari anni senza incidere sui conti di un solo esercizio.

A via XX Settembre, invece, scongiurerebbero un grave ammanco per le casse dello Stato. E infatti al Mef, capitanato da un Pier Carlo Padoan che viene definito “preoccupato” anche per l’esito del referendum costituzionale, sono d’accordo tutti i viceministri e i sottosegretari che coprono l’intero arco dei partiti al governo. La norma però è stata cassata anche dal decreto fiscale per l’avversione del ministero per i Rapporti con il Parlamento retto da Maria Elena Boschi, come ricostruito da Formiche.net: si trattava infatti di ottenere il placet delle opposizioni e per farlo si sarebbe dato in cambio un innalzamento della soglia per l’obbligo di trasformazione delle banche popolari in spa da 8 a 30 miliardi, elemento che aveva consentito a Banca Etruria di rientrare nel decreto sulle popolari.

Ora, come si diceva, la strada che il governo intenderebbe percorrere è quella di un provvedimento ad hoc, in cui magari inserire altre questioni relative al mondo del credito come quelle che afferiscono alla Popolare di Bari che si sta avviando faticosamente verso la trasformazione in spa e che riunirà l’assemblea dei soci l’11 dicembre. Se poi non si riuscisse si potrebbe altrimenti inserire una norma sul fondo di risoluzione in qualche altro testo legislativo di fine anno, per esempio nel tradizionale “Milleproroghe”, sebbene sarebbe meglio non arrivare troppo a ridosso del 31 dicembre per permettere alle banche di chiudere i bilanci.

Insomma, a ben vedere le vie d’uscita non mancherebbero. Forse però è la volontà a latitare. Dalle parti di Palazzo Chigi raccontano di un Matteo Renzi molto concentrato sul 4 dicembre che – scottato dalle vicende di Banca Etruria – non vuole legare ulteriormente il suo esecutivo a provvedimenti a favore delle banche. Tanto meno in prossimità di un referendum che rappresenta una sorta di deadline. E non solo in caso di vittoria del “No”. Dunque, sul fondo prima del 4 dicembre non si dovrebbe muover foglia e anche dopo non è certo che ciò accada vista quest’idiosincrasia del presidente del Consiglio.

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