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Steven Mnuchin, idee e segreti del finanziere che Trump ha scelto per il Tesoro

Con la ormai abituale formula “persone vicine alla transizione”, il New York Times ha annunciato che è ormai fatta per un altro importante tassello dell’Amministrazione che il presidente eletto Donald Trump sta allestendo: secondo le fonti interne al transition team, Steven Mnuchin sarà il prossimo segretario al Tesoro.

UN ALTRO LEALISTA

Mnuchin è un lealista (ad aprile era alla festa per la vittoria di Trump alle primarie per lo Stato di New York), ha guidato il team di esperti economici che ha consigliato Trump durante la campagna. Tra i due, anche vecchie storie: il fondo diretto da Mnuchin, Dune Capital Management, nel 2008 ha finanziato la costruzione della Trump Tower di Chicago; un rapporto complicato dalla richiesta di un rifinanziamento da parte di Trump.  Con la scelta si conferma comunque la linea seguita dal repubblicano: per i posti chiave la selezione guarda tra i fedelissimi. Altri casi: il capo dello staff, Rience Priebus, è stato il più alto funzionario del partito ad aver sempre appoggiato Trump e il prossimo consigliere strategico sarà Steve Bannon, il titolare del sito che ha spinto con forza la galassia eterogenea di supporter trampisti, al Commercio Wilbur Ross, alla Sicurezza nazionale Michael Flynn e la vice KT McFarland. Mnuchin è un personaggio molto noto, partecipa alle principali attività filantropiche newyorkesi (adesso vive al 740 di Park Avenue, nel famoso Billionair’s Building), è stato un ex direttore del Whitney Museum of American Artcon, e la sua RatPac-Dune Entertainment ha prodotto anche blockbuster holliwoodiani come “Avatar”, “Gravity”, “American Sniper”, la serie degli “X-Men”, ma soprattutto è una star di Wall Street.

LA CARRIERA NELLA FINANZA

Laureato a Yale (è stato anche l’editore della rivista Yale Daily Nwes), membro della confraternita più o meno segreta Skulls&Bones, ha lavorato per diciassette anni in Goldman Sachs (un affare di famiglia: prima di lui il padre e dopo il fratello), dove ha diretto i cinquemila uomini del dipartimento tecnologico, fino a diventare un partner. Poi per diversi anni ha lavorato al fondo di investimenti di George Soros, finanziere e finanziatore democratico, uno che “agli occhi antiglobalisti dell’elettore di Trump è il principe delle tenebre”, scrive Mattia Ferraresi sul Foglio. Infine ha creato l’hedge fund personale (nel 2004). Rebecca Berg, giornalista che si occupa di politica interna per il sito RearClearPolitics e per la CNN, ha ironizzato su Twitter a proposito della scelta e del trascorso nel settore finanziario del futuro segretario, perché Trump durante la campagna elettorale ha criticato più volte Hillary Clinton (sua contender democratica) e Ted Cruz (suo contender alle primarie) sostenendo che Goldman Sachs aveva “il completo controllo su di loro”. Ma evidentemente erano claim da campagna (“Hanno rubato alla nostra classe operaia”, diceva a proprio dei colossi bancari come GS): un metodo per affrancarsi dai bastioni della finanza americana e arrivare con più facilità a un elettorato appartenente alle classi sociali più basse, quelle che lo ha portato alla vittoria. Poi in realtà, oltre Mnuchin che era uno dei top manager della banca di investimenti, pure Bannon, nonostante il suo sito sia feroce verso gli interessi che si muovono a Wall Street e i contatti col mondo politico della finanza, è stato un dipendente del settore acquisizioni e fusioni di Goldman Sachs (la banca è piuttosto discussa perché al centro del sistema dei mutui sub-prime da cui è partito il crollo del settore immobiliare e la crisi economica del 2008). Anche Henry Paulson e Robert Rubin, due ex segretari al Tesoro, sono passati per le alte sfere di GS. Mnuchin ha lasciato la banca da 14 anni, ma i suo contatti con gli ex colleghi restano forti, li ha più volte coinvolti nei propri affari, e partecipa regolarmente agli eventi organizzati dall’istituto.

IL RUOLO NEVRALGICO NELLA PROSSIMA AMMINISTRAZIONE

Il segretario al Tesoro avrà un ruolo fondamentale per la prossima amministrazione Trump, perché da lì passeranno alcune delle più importanti decisioni promesse: spetterà al dipartimento, per esempio, trovare i fondi per i maxi investimenti sulle infrastrutture, e saranno i tecnici guidati da Mnuchin (che ancora deve essere confermato dal Senato, si precisa) a dover realizzare i cambiamenti in politica economica, e doversi occupare dell’ampio pacchetto di tagli fiscali, e a seguire la parte economica della revisione prevista sugli accordi commerciali presenti e futuri – per assurdo, sempre dal Tesoro potrebbero passare anche importanti stravolgimenti nelle sanzioni verso l’Iran, se dovesse prendere più spazio la linea dei falchi trumpisti che chiedono di rimettere mano all’accordo nucleare con Teheran chiuso da Barack Obama. John Green, un portavoce di Take On Wall Street (un gruppo sindacale che sosteneva il democratico di sinistra Bernie Sanders e che vuole farsi tramite tra la rabbia dei cittadini comuni e le dinamiche che legano la finanza e la politica) ha detto al Nyt che “chiunque sia preoccupato che i miliardari di Wall Street influenzino l’economia dovrebbe essere terrorizzato dalla prospettiva di Mnuchin un segretario al Tesoro”.

POPULISMO E BANCHE

I collegamenti con il mondo di Wall Street, su cui dal governo dovrebbe applicare il suo futuro ruolo esecutivo, sono sia un tema per alzare le critiche su possibili conflitti di interessi, sia per sollevare le polemiche di chi sostiene che il pagante messaggio populista era un incantesimo che si è rotto (“Il suo pedigree rappresenta un netto contrasto con i temi populisti di Mr Trump”, ha scritto il Wall Street Journal). Come sottolinea il Washington Post, Mnuchin è un esperto del settore economico-finanziario, ma è “senza alcuna esperienza di governo”, come d’altronde Trump – tra l’altro in passato aveva anche sostenuto candidati democratici (per esempio, Bloomberg dice che ha dato 7mila dollari a Clinton nel 2008), cosa che lui stesso ha ammesso al New York Times. I due però hanno chiaro l’obiettivo: far crescere l’economia e aumentare i posti di lavoro, le principali tra le richieste popolari, sebbene la disoccupazione americana abbia vissuto fasi più critiche. In questo senso, la prima vittoria di Trump è arrivata martedì: la Carrier, un’azienda di condizionatori d’aria, ha deciso dopo un incontro col presidente eletto di non spostare una sede con un migliaio di dipendenti dall’Indiana in Messico — altre sedi e altri lavoratori verrano comunque spostati. Anche Mnuchin partecipò in passato a un salvataggio importante, quello della IndyMac Bank (poi entrata nella OneWest Bank, di cui è diventato presidente): del gruppo di finanzieri che hanno salvato l’istituto californiano dalla bancarotta facevano parte anche Soros, J.C. Flowers e John Paulson, anche lui membro del transition team di Trump (in odore di incarichi più importanti). Per ristrutturare le disastrate finanze della banca, Mnuchin sposò una linea dura contro i clienti creditori (di mutui e prestiti), pignoramenti forzati e pochi presiti verso le minoranza etniche, tanto che una manifestazione di protesta arrivò fino a davanti ai cancelli della sua villa di Bel Air. La OneWest dopo cinque anni è stata rivenduta alla CIT per 3,4 miliardi di dollari: “Un affare estremamente redditizio per gli investitori di hedge fund e private equity che hanno posseduto la banca per cinque anni” ha scritto Forbes. Mnuchin, che prese 10,9 milioni di profitto, è ancora membro del board della CIT Group, colosso dei prestiti, mentre parte della OneWest è ancora sotto inchiesta del dipartimento alla Casa e allo Sviluppo Urbano per le presunte irregolarità.

(Foto: Steven Mnuchin)

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