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Migranti, Bruxelles, Atene e Ankara: adesso basta ipocrisie

Basta con l’ipocrisia. Tanto ad Atene, quanto a Bruxelles e ad Ankara. Le morti nell’hotspot di Moria, sull’isola di Lesvos, sono un macigno morale sulla coscienza di tutti: di chi sta fallendo nell’assurdo accordo Ue-Turchia; di chi pensa di gestire una migrazione epocale trasformando le isole greche nel lazzaretto d’Europa; di chi pontifica contro leggi e trattati senza una sola parola di condanna da parte della Casa Bianca, in una mesta visita solo turistica, viste le foto sul Partenone; di chi usa la clava del buonismo per tentare di non perdere le prossime elezioni in un Paese dove la troika non sta capendo più niente per un debito che, come da programma, è indefinito e infinito.

“Non è colpa nostra” è riuscito a dire il ministro greco per le migrazioni Mouzalas, ma avrebbe fatto meglio a scegliere un dignitoso silenzio, per rispetto alle morti, a chi migra e a chi accoglie con fatica e dedizione. Sul tema migranti l’errore è macroscopicamente di tutti gli attori in causa che, per proprio tornaconto personale, hanno imboccato la via dell’assuefazione rimpallandosi responsabilità e decisioni. E i frutti di questa sciatteria si stanno manifestando in tutta la loro tragica conseguenza.

Ma alcuni punti fissi vanno messi, nel rispetto certamente di diritti ma anche di fatti e dinamiche. Non si possono ospitare migliaia di migranti in isolette che hanno già dato il 200% del loro potenziale, senza prevedere un piano logico e fattibile di quote. A Samos ci sono 2500 migranti a fronte di 6000 residenti: qualcuno a Berlino e Bruxelles si è forse chiesto come riescono a gestire l’immensa mole di lavoro, materiale ed umano? I grandi media europei si sono mobilitati solo dinanzi alla vergogna del campo di Idomeni, dove in 11mila erano appollaiati a pochi centimetri da un filo spinato eretto per impedire altro caos. Una volta chiuso quello, al pari di Calais, ecco piombare il silenzio sulla Grecia e sul Mediterraneo travolto dall’ondata biblica. Non una parola sul rifiuto dei paesi cosiddetti civili del nord Europa, che potranno non accettare le quote di migranti assegnategli solo pagando una multa.

In assenza di un supporto serio da parte del governo di Atene e dell’Ue, il sindaco di Samos si è riboccato le maniche e ha creato una rete virtuale con altri sindaci alle prese con la stessa emergenza, come Lampedusa, Calais e Vigo: l’unica maniera per comporre una voce sola e chiedere aiuto. In Libia l’Ue non riesce a sostenere la nascita di un governo stabile, con cui poi si possa concertare un accordo per impedire altre partenze. In Siria si bombarda ma non si ragiona: senza dubbio l’Isis va stanato ma prevedendo un cuscinetto da attuare in un secondo step di azione. Dopo gli allarmi dell’intelligence olandese sui rischi di infiltrazioni terroristiche in occidente, non si comprende come alcuni hotspot in Grecia siano ancora presidiati da una sola volante della polizia.

Lungi da queste righe qualsiasi sospetto, ci mancherebbe, ma proprio per impedire rigurgiti xenofobi e reazioni scomposte, vanno sgombrati altrettanti dubbi legati a passaggi sospetti che già si sono verificati, come dimostra il viaggio in Grecia compiuto dal terrorista Salah Abdeslam (via mare da Bari) nell’agosto del 2015, senza alcun controllo né tantomeno posto di blocco. Ad Atene è attiva una cellula dell’Isis dedita alla falsificazione dei passaporti che nessuno è riuscito ancora a stanare. Mentre sulle coste turche che si affacciano sull’Egeo è stata impiantata, con un occhio chiuso da parte della polizia locale, quella base logistica che gestisce e organizza i viaggi dei migranti che giungono via Grecia in Italia a bordo di insospettabili vip yacht.

Bruxelles è come sempre dotata di armi, a suo dire, spuntate. Roma attende con ansia il referendum del prossimo dicembre prima di conoscere i propri destini. Berlino vede le elezioni dell’anno prossimo come la resa dei conti tra Merkel e la protesta di Afd. Parigi aspetta di conoscere chi, tra Fillon e Juppè, sfiderà la Le Pen. Washington ha deciso di spostare armi e bagagli dal Mediterraneo al continente asiatico, perché al presidente Trump del mare nostrum interessa relativamente. Il problema è che nel frattempo il bubbone monta. E scoppia malamente, con morti sul campo. E sulle coscienze.

Mondogreco

twitter@FDepalo

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