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Referendum, vi racconto le ultime ubriacature dei Signor No contro l’Italicum

bersani

Notizie decisamente brutte per il fronte del no referendario alla riforma costituzionale e, più in generale, diciamola tutta, a Matteo Renzi. Che è il vero obiettivo del no. La riforma è diventata ormai soltanto un pretesto, come dimostra la reazione sempre negativa ad ogni annuncio o impegno, come vedremo, di superare o rimuovere i cosiddetti “combinati disposti” che renderebbero la riforma indigeribile. E’ lui, la vera preda della caccia referendaria: sia come segretario del Partito Democratico, i cui avversari interni considerano un abusivo, o un infiltrato della destra, sia come presidente del Consiglio. Che la destra scambia invece per un veterocomunista travestito da giovane, o qualcosa del genere, e la sinistra vorrebbe o rovesciare o indebolire, riducendolo con la sconfitta referendaria ad uno straccio da rimuovere poi più facilmente, dopo avergli fatto fare alcune cose improrogabili e difficili per chiunque volesse prenderne il posto: per esempio, l’approvazione di quello che una volta chiamavamo bilancio, poi legge finanziaria e ora, se non mi sbaglio, legge di stabilità.

La prima notizia brutta per il fronte del no è che per un po’ di giorni il referendum dovrà sparire dalle prime pagine dei giornali, o scendere verso le parti sempre più basse, per la priorità dovuta al ben più rilevante finale della corsa alla Casa Bianca fra quella specie di grillino ricco, anzi ricchissimo, d’oltre Oceano che è Donald Trump, 70 anni compiuti a giugno, sostenuto in Italia ancora più apertamente da Matteo Salvini, senza peraltro che i suoi alleati Silvio Berlusconi, Renato Brunetta e amici avvertano qualche imbarazzo, e la prima donna che si è candidata al vertice degli Stati Uniti e già conosce la residenza del presidente per avervi vissuto da moglie di Bill Clinton e poi frequentata spesso come Segretaria di Stato al Dipartimento degli affari esteri: l’avvocata Hillary Diane Rodam, 69 anni compiuti 12 giorni fa.

La seconda brutta notizia per il fronte referendario del no è la guerriglia scatenata dai suoi sostenitori per le strade di Firenze, nel tentativo di superare gli sbarramenti legittimi della Polizia e di fare danni, come soltanto certi specialisti dell’agitazione di piazza sanno fare, più vicino, e magari anche dentro la ex stazione ferroviaria Leopolda, sede dell’annuale convegno degli amici di Renzi.

Anche per questi disordini, che qualificano da soli lo spirito, diciamo così, del contrasto al presidente del Consiglio, come per il tifo di Salvini per Trump, non si è sentita, almeno sino al momento in cui scrivo, alcuna voce di deplorazione o di dissenso da Berlusconi e amici. Lo ha sottolineato su Libero, con delusione e allarme, l’ex deputato berlusconiano Renato Farina, per un bel po’ di tempo, anche recente, stretto collaboratore del capogruppo Brunetta nella confezione quotidiana del Mattinale, notiziario d’informazione e di orientamento destinato ai parlamentari forzisti.

La terza e forse peggiore notizia per il fronte del no è la firma apposta dall’ex presidente del Pd Gianni Cuperlo al documento approvato dalla commissione del partito per la riforma della legge elettorale della Camera chiamata Italicum, e per la definizione della legge ordinaria che dovrà disciplinare l’elezione, e non più la nomina dei consiglieri regionali destinati a fare anche i senatori. Di questa commissione Cuperlo ha fatto parte in rappresentanza della o delle minoranze del Pd, secondo i gusti di chi ne parla e scrive.

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Il documento approvato anche da Cuperlo non contiene sorprese rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi.

I consiglieri regionali destinati a fare anche i senatori saranno scelti dagli stessi elettori dei Consigli col sistema della doppia scheda, già proposta durante l’esame parlamentare della riforma dall’ex vice presidente piddino del Senato Vannino Chiti ma imprudentemente rifiutato allora da Renzi.

I deputati saranno invece eletti, con una riforma dell’Italicum che potrà essere fatta dal Parlamento solo dopo il referendum per ragioni ormai di forza maggiore, dovendo le Camere licenziare prima il bilancio dello Stato, o come altro si preferisca chiamarlo, non più con i capilista bloccati e con le preferenze per gli altri, ma col sistema dei collegi uninominali. Che consentirà ai cittadini di sapere bene chi votano trovandone ben stampato il nome sulla scheda, poiché i partiti possono presentare un solo candidato per collegio.

Oltre ai capilista bloccati, scomparirà dalla legge elettorale il ballottaggio. Che è diventato con le elezioni amministrative della scorsa primavera una specie di polizza d’assicurazione dei candidati grillini, aiutati quasi sistematicamente dalla destra, in funzione antirenziana, quando contendono il posto ad uno o ad una del Pd.

Infine, resta il premio cosiddetto di maggioranza, utile a garantire la governabilità nel caso in cui nessuno dovesse disporre da solo della metà più uno dei voti validi, ma assegnabile alla coalizione e non solo alla lista più votata, come farebbe invece comodo ai grillini per l’allergia che hanno alle alleanze: allergia tale da avere essi proposto il ritorno al vecchio sistema elettorale proporzionale. Che non consentirebbe loro di vincere, e quindi di governare, come adesso sono tenuti a fare in Campidoglio con gli effetti che si vedono, ma garantirebbe una folta rappresentanza parlamentare e il più comodo esercizio dell’opposizione, cui in realtà i pentastellati sono più adatti.

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Naturalmente neppure il presepe confezionato anche da Cuperlo non è piaciuto ai vari Pier Luigi Bersani, Miguel Gotor, che non è un torero, Davide Zoggia e Roberto Speranza, per non parlare di Massimo D’Alema. Che hanno rapidamente bocciato l’accordo trovandolo troppo “fumoso” e pieno di “condizionali”, insomma sospettosi che Renzi se lo voglia rimangiare se dovesse vincere il referendum.

Bistrattato dagli irriducibili, l’accordo è stato invece considerato “perfetto” – testuale – su Repubblica da Eugenio Scalfari. Che, nel tentativo di smontare ulteriormente l’ostilità del fronte del no, ha chiesto a Renzi di adottare l’intesa nel modo più impegnativo possibile, riferendone al Parlamento con un discorso, prima ancora di portarlo all’esame e alla ratifica dell’assemblea nazionale e della direzione del partito. Una richiesta che Renzi, abituato ormai a consultare Barpapà nei passaggi più difficili, come fa pure il Papa, potrebbe anche accettare.

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