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Donald Trump visto da politici e media tedeschi

Forse non è azzardato dire che il Paese più scioccato dalla vittoria di Donald Trump è la Germania. E questo ancora prima che per l’ideologia, la politica che incarna e incarnerà, per il suo comportamento, per lo spregio che ha mostrato verso qualsiasi regola di buona creanza. Così l’opinione pubblica tedesca vive il risultato elettorale di Usa 2016 (stando a un sondaggio solo il 4 per cento dei tedeschi è contento dell’esito delle elezioni Usa) e così lo vive la sua classe politica.

E’ raro poter quasi toccare con mano l’imbarazzo o addirittura la profonda irritazione di un politico tedesco, soprattutto se di peso. Ieri e l’altro ieri era invece possibile, visibile, palpabile. Come scrive la Frankfurter Allgemeine: “Le prese di posizione, i commenti dei politici lascerebbero pensare che a prendere il potere negli Stati Uniti è arrivato un dittatore”. A iniziare dalla Kanzlerin. Angela Merkel si è presentata verso mezzogiorno davanti alle telecamere rilasciando una dichiarazione che non avrebbe potuto essere più stringata e asciutta: “Chiunque sia chiamato a guidare questo paese dotato di una straordinaria forza economica, con un potenziale militare decisivo e dall’impatto culturale che va ben oltre le sue frontiere, ha delle responsabilità che si riverberano su pressoché tutto il mondo”. A Trump Merkel ha voluto ricordare lo stretto legame tra Germania e Usa e soprattutto i principi sui quali si fonda lo stesso: “Il rispetto per la democrazia, la libertà, della legge e della dignità dell’essere umano, a prescindere dalle origini, dal colore della pelle, dalla religione, dal sesso, dall’orientamento sessuale o dal credo politico”. Ed è sulla base della condivisione di questi valori, ha detto la Kanzlerin “che offro al futuro presidente degli Stati Uniti una stretta collaborazione”.

Ma mentre Merkel riusciva bene o male a dissimulare i suoi veri sentimenti, ci riusciva  un po’ meno il ministro degli Esteri. Lo sconcerto, la frustrazione, il senso di impotenza Frank-Walter Steinmeier ce l’aveva scritto in volto durante tutta l’intervista rilasciata alla trasmissione “Brennpunkt”, del canale pubblico ARD. “Non credo sia un segreto per nessuno, il fatto che la maggior parte dei tedeschi avrebbe favorito un altro risultato”, ha detto senza giro di parole. Per quel che riguardo poi le perplessità riguardo la politica estera che Trump intenderà seguire, il ministro ha fatto notare che “fino a ora Donald Trump non ha dato molte indicazioni in merito”. Steinmeier non pensa che, le minacce di Trump di rivoluzionare la Nato, e il rulo degli Usa al suo interno, verranno messe in atto. Questo, però, non toglie che Trump rappresenti un’incognita per gran parte dello scacchiere internazionale. D’altro canto, annotava il ministro, nemmeno politici esperti (e per giunta dello stesso schieramento politico) come Henry Kissinger, saprebbero dire al momento quali sono i progetti di Trump.

Forse consapevole di aver dipinto un quadro a tinte molto fosche, Steinmeier ha ammonito che nonostante tutto, però, “non è il caso di paralizzarsi come la preda davanti alla vipera (un esempio che ha del lapsus freudiano, a ben vedere), bisogna invece concentrarsi sul dove stiamo”. Uno dei valori fondanti della Germania è anche la forza, ha ricordato. “Non c’è dubbio che la Germania debba molto all’America, ma non per questo siamo in tutto e per tutto identici. A iniziare dalla cultura politica”.

A preoccupare Wolfgang Schäuble è l’effetto contaminazione che il risultato americano possa avere sulla cultura politica. In un commento sul tabloid Bild Zeitung il ministro delle Finanze sottolinea come sia cambiato il confronto politico anche in Germania. “Il populismo demagogico non è solo un problema americano. Anche altrove in Occidente il dibattito politico è in condizioni preoccupanti […] anche la semplificazione deve avere un limite”. Per questo Schäuble fa appello ai suoi colleghi politici: “Tutti noi dobbiamo ripensare le nostre posizioni, mostrarci aperti al confronto con posizioni diverse. Questo è l’unico modo per arginare il populismo demagogico”. Se Schäuble fa riferimento anche a un confronto con il movimento populista AfD, Alternative für Deutschland, che sta guadagnando molto terreno, e che ha brindato alla vittoria di Trump, Schäuble non l’ha però specificato.

Anche l’editorialista della Süddeutsche Zeitung, Heribert Prantl, si preoccupa innanzitutto dei modi finora adottati dal magnate (che come insegna la storia, possono avere un peso decisivo): “Il futuro presidente degli Stati Uniti ha infranto le regole della decenza e l’ha fatto con successo. E noi qui in Germania non dovremmo cullarci nella certezza di essere immuni da questi richiami”. Prantl fa notare che un tempo anche per i populisti c’era un limite che non andava superato. Questo limite non c’è più.

Un altro tema che il dibattito tedesco post elezioni ha messo in luce è la dipendenza dell’Occidente dagli Usa. Sul quotidiano Die Welt interviene l’economista Thomas Straubhaar, il quale parla della fine del modello American Way of Life, “il che rappresenta un enorme problema per l’Europa e al tempo stesso un’opportunità incredibile di sviluppare finalmente un proprio modello di società”. Straubhaar non è l’unico a sottolineare che il voto americano rende ineluttabile e non più rinviabile l’affrancamento dell’Ue dalla tutela degli Usa, poiché, in un momento di profonda crisi, potrebbe risultare una spinta salvifica.

Per la politica tedesca interna, la vittoria di Trump vuol dire molte cose. Innanzitutto, come scrive il quotidiano Welt, Merkel dovrà probabilmente confrontarsi con una Russia ancora più assertiva (viste le bottiglie di champagne stappate per festeggiare il risultato americano) e con vicini sempre più dichiaratamente populisti o, comunque, pericolosamente in bilico. Il 4 dicembre gli austriaci ripeteranno il ballottaggio per il nuovo capo di Stato; la primavera prossima la Francia andrà alle urne e, alla luce delle sorprese “Brexit” e ora “Trump”, nessuno è disposto a scommettere ciecamente su una sconfitta di Marine Le Pen e del suo Front National. Anche gli olandesi voteranno l’anno prossimo e, visto il mood generale, anche qui non è da escludere un buon risultato per Geert Wilders e il suo Partito per la libertà.

Anche i tedeschi l’anno prossimo saranno chiamati a rinnovare il Bundestag e c’è da chiedersi quanto incideranno gli ultimi eventi internazionali (Brexit, Trump) e nazionali (l’ascesa del partito populista Alternative für Deutschland) sul voto.
In febbraio verrà eletto il nuovo capo di Stato tedesco. La settimana scorsa i socialdemocratici hanno proposto un candidato unico per la Grande Coalizione e individuato lo stesso nella persona del socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier. La risposta di Cdu e Csu è stata, però, un secco no. La paura di una radicalizzazione del confronto politico in Germania, con ripercussioni sull’esito elettorale, potrebbe, però, spingere più facilmente e velocemente a scegliere un candidato condiviso. Forse già questa fine settimana.

La seconda e più importante decisione che potrebbe essere condizionata dall’esito elettorale americano è quella riguardo al futuro di Angela Merkel. Alla domanda se intende candidarsi per la quarta volta alla guida del Paese, lei fino a ora ha risposta che ne avrebbe dato comunicazione a tempo debito. I tempi potrebbero essere maturi e non è da escludere che, proprio gli ultimi eventi, potrebbero non solo assicurare a Merkel un sostegno molto ampio da parte dei delegati, ma l’anno prossimo anche da parte degli elettori.

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