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Donald Trump? Sembra un po’ Putin. Parola di Hayden (ex capo Cia)

Trump

“So che non sono il primo a notare questo, ma Donald Trump può sembrare realmente un po’ Vladimir Putin“. Attacca così l’op-ed – titolo esplicito: “Trump is Russia’s useful fool“, richiamo agli utili idioti leniniani – firmato da Michael Hayden per il Washington Post. Hayden non è proprio l’ultima delle voci da tenere in considerazione quando si parla di questioni critiche per la stabilità americana: generale quattro stelle, è stato capo della National Security Agency tra il 1999 e il 2005, poi dal 2006 al 2009 ha diretto la Cia; ossia, ha ricoperto i massimi incarichi sulle due principali agenzie di spionaggio americane durante i mandati di presidenti sia repubblicani che democratici.

Hayden analizza e commenta l’ossessione paranoica per il complottismo di Trump, che per il candidato repubblicano coinvolge i media, le banche internazionali, buona parte dei politici mondiali, alcune minoranze etniche, lo stesso risultato elettorale dichiarato già corrotto a meno di una sua vittoria e chi più ne ha più ne metta: durante il terzo dibattito televisivo la sua avversaria Hillary Clinton gli rinfacciò di aver tirato in ballo anche un complotto sugli Emmy, perché il reality show che conduceva non era riuscito a vincere i titoli per tre anni di fila (non era una provocazione della Clinton, era la realtà) – a quella de “l’altro” di Putin. Spiega così Hayden: “È un prodotto di una filosofia marxista KGB dove l’altro, qualsiasi altro, è identificato come ostile e creato da forze immutabili della storia, qualcosa da temere e, infine schiacciare”.

Il generale prende tra i vari spunti per critiche più concrete le posizioni assunte da Trump su alcuni dossier strategici a livello internazionale, per esempio la Siria: il candidato repubblicano – sempre durante il terzo confronto televisivo – aveva sostenuto che la Russia e l’Iran, insieme a Damasco, stavano combattendo l’Isis e che il presidente siriano era l’unica alternativa ai terroristi (è un po’ quel che lo stesso Bashar el Assad vende nelle sua surreale ricostruzione dei fatti). È abbastanza noto che questa è più che altro una linea narrativa, che Hayden sintetizza: “[Russia e Iran] Sono in controtendenza sul regime di Assad, che, se qualcuno sta tenendo il punteggio, ha ucciso più innocenti rispetto allo Stato islamico e Jabhat al-Nusra, l’affiliato di al-Qaeda, combinati insieme. E l’attrattiva dello Stato islamico e Al Qaeda a musulmani sunniti è un sottoprodotto diretto delle depredazioni del regime di Assad, che la Russia ha salvato dal crollo un anno fa” (il 30 settembre Mosca aumentò il proprio coinvolgimento operativo sul conflitto siriano, avviando bombardamenti e missioni dirette, dando ripresa al regime che stava vivendo il suo momento più critico).

Prendendo come spunto il caso degli attacchi hacker subiti dal partito democratico e da altre istituzioni negli Stati Uniti, per cui Washington ha accusato gruppi russi collegati al Cremlino e su cui Trump ha rifiutato di valutare qualsiasi coinvolgimento russo, l’ex capo della Cia dice una cosa molto importante che anche in questo identifica pienamente il comportamento del potenziale futuro presidente americano (e certamente di parte dei suoi simpatizzanti, almeno a giudicare dai modi esternati per esempio sui social network): “Il rifiuto è su una valutazione di intelligence basata sui fatti, non a causa di dati contrarian convincenti, ma perché è in contrasto con una visione del mondo preesistente, questa è roba da autoritarismo ideologico, non da democrazia pragmatica. Ed è spaventoso”. Quello di Hayden è l’ultimo in ordine cronologico di editoriali del genere, arrivati da alti vertici della sicurezza nazionale americana.

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