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Tutti gli errori di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi

milan, centrodestra

Mi è capitato spesso di dissentire da Vittorio Feltri, specie dalla sua indulgenza, non condivisa neppure dal figlio Mattia, altro giornalista coi fiocchi, verso gli abusi che i magistrati di Milano fecero della loro popolarità, temuta persino dall’allora capo della Procura Francesco Saverio Borrelli, trasformando le pur necessarie inchieste sul finanziamento illegale dei partiti nell’occasione di una selezionata decimazione politica. Un’indulgenza, quella, per onesta ammissione dello stesso Feltri, motivata anche o soprattutto, non so, dalla necessità di rivitalizzare con le vendite il giornale che lui allora dirigeva, L’Indipendente, destinato lo stesso però alla destinazione “cimiteriale” temuta da Vittorio.

Eppure non gli si può dare torto quando, tornato alla guida di Libero con l’incarico o il proposito, da lui comprensibilmente negati, anche scambiati per un mezzo insulto, di aiutare Matteo Renzi a vincere la scommessa referendaria sulla riforma costituzionale – duramente osteggiata da Maurizio Belpietro, per questo detronizzato dalla mattina alla sera dall’editore – Vittorio Feltri traccia un bilancio negativo della campagna referendaria a meno di un mese dal voto del 4 dicembre. Salvo naturalmente rinvii, con o senza i complotti avvertiti e denunciati dal fronte del no, tanto sicuro di avere la partita in tasca da temere che la vittoria gli venga rubata con qualche pasticcio. Che però, a conti fatti, dopo le accuse e le contraccuse scambiatesi fra i due schieramenti, rimarrebbe solo quello di un signor No dal nome grosso come un grattacielo: il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, secondo per titoli e aristocrazia solo al suo collega, emerito pure lui, Gustavo Zagrebelsky.

E’ stato proprio Onida, come ormai sanno anche i sassi, a buttare fra gli ingranaggi del referendum un ricorso giudiziario che potrebbe bloccarlo addirittura al novantesimo minuto: la contestazione dell’attuale quesito unico, scelto per legge dalla Corte di Cassazione, perché la Corte Costituzionale già presieduta dallo stesso Onida, smentendo gli ermellini del Palazzaccio romano di Piazza Cavour, lo spacchetti in cinque domande, quanti sono i sottotitoli della legge di riforma sottoposta alla verifica popolare perché approvata dal Parlamento con una maggioranza inferiore ai due terzi dei voti dei componenti di ciascuna delle due Camere. Essi sono: 1) superamento del bicameralismo paritario; 2) riduzione del numero dei parlamentari; 3) contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni; 4) soppressione del Cnel; 5) revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione, quella che riguarda le competenze delle regioni e i loro rapporti con lo Stato.

Un simile spacchettamento non solo potrebbe bloccare il referendum e farlo slittare ad un’altra data, ma paradossalmente potrebbe risolversi in un affare per Renzi. Che non potrebbe più contare, è vero, su una vittoria totale, ma potrebbe anche evitare una sconfitta totale, essendo facilmente immaginabile un risultato diverso fra un quesito e l’altro. Ah, che pasticcio ha combinato, o rischia di combinare al variopinto e brancaleonesco fronte del no questo benedetto professore Onida!

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E’ difficile, diciamo pure impossibile, non convenire a questo punto con Vittorio Feltri quando dice, in una intervista fresca fresca di stampa, con linguaggio un po’ montanelliano, che l’Italia “è stabile nel suo casino”. Solo nel suo casino.

Ed ha ragione, Feltri, anche quando cerca di elencare e descrivere gli errori addebitabili un po’ a tutti gli attori, protagonisti o comparse che siano, di questo benedetto o maledetto referendum, o di questa imbrogliatissima situazione politica, anche se nel suo elenco ha graziato, non parlandone neppure, il professore Onida.

Un errore, formalmente riconosciuto del resto dallo stesso interessato su raccomandazione dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, può essere stato sicuramente quell’annuncio iniziale di Renzi di tornarsene a casa se sconfitto nel referendum. Solo i fatti –osservammo a suo tempo su Formiche.net – potranno dire se quello del presidente del Consiglio è “coraggio o imprudenza”. Almeno sul piano dei sondaggi siamo vicini più alla seconda che alla prima ipotesi, pur essendo ancora la partita aperta per il numero troppo alto degli indecisi, oltre che per l’oggettiva imponderabilità di tutti i sondaggi.

Un altro errore può essere stato quello di Silvio Berlusconi, sempre più circondato da quello che Vittorio chiama non a torto “un branco di poveracci”, nel ritiro dalla maggioranza riformista in materia costituzionale per protesta, o ripicca, contro l’elezione di Sergio Mattarella, l’anno scorso, al Quirinale. Dove peraltro, come ha recentemente raccontato un deputato molto vicino all’ormai ex forzista Denis Verdini, l’attuale presidente della Repubblica arrivò dopo una telefonata con la quale Berlusconi in persona si sarebbe compiaciuto di comunicargli che una quarantina dei suoi, fra i quali allora lo stesso Verdini, lo avrebbero votato a scrutinio segreto, difformemente quindi dalla linea ufficiale di Forza Italia. E’ uno scenario, questo, per niente irrealistico perché conforme alla politica di tutti i tempi, o di tutte le stagioni, come preferite, senza differenza alcuna fra prima, seconda, terza e quante potranno ancora diventare le edizioni della Repubblica italiana.

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Un altro errore ancora rimproverato da Vittorio Feltri a Berlusconi è di avere messo male in pista, nel tentativo di riorganizzare non si è capito bene per un certo tempo se più Forza Italia o quello che fu il centrodestra, il povero Stefano Parisi, per poco, assai poco mancato sindaco di Milano. Su cui, se non ricordo male, anche Vittorio scommise dalla sua postazione di Libero, non immaginando di dovere scrivere adesso che l’ex Cavaliere –presumo- con le sue indecisioni, i suoi ermetismi, il suo lasciar dire a Renato Brunetta e a Fedele Confalonieri quello che dicono o, nel caso di Confaloneri, sussurrano ai confidenti di turno, sta facendo fare al povero Parisi “la figura del fesso”.

Un altro errore su cui concordo con Feltri, addebitabile a Renzi, è quello di avere regalato al fronte del no Massimo D’Alema negandogli la designazione a commissario europeo per la politica estera, o come diavolo la chiamano a Bruxelles- per preferirgli la sicuramente meno esperta e nota Federica Mogherini. In effetti, l’ex presidente del Consiglio, peraltro già rottamato sul terreno della politica interna, per quanto sgradevole riesca ad essere a volte per le sue battute e i suoi atteggiamenti, rimane pur sempre un eccellente geniere, adatto per mestiere -si sa- sia a costruire sia a demolire. Adesso egli fa il demolitore della riforma sotto procedura referendaria.

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