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Come si dividono sul referendum i turbo-liberisti dell’Istituto Bruno Leoni

Anche i turbo-liberisti dell’Istituto Bruno Leoni si dividono sul referendum costituzionale. Se diversi studiosi del think-tank torinese pare schierata per il Sì, a partire da Carlo Stagnaro (già direttore studi e ricerche del pensatoio) oggi capo della segreteria politica del ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, spuntano anche voci interne in disaccordo. In entrambi i casi, economisti, giuristi e politologi dell’Istituto non mancano di motivare in maniera approfondita le loro ragioni.

LE RAGIONI (ECONOMICHE) DI STAGNARO

Come detto, tra i principali sostenitori della riforma c’è Stagnaro. In un recente articolo su LaVoce.info ha messo in fila i numeri dei risparmi nei costi istituzionali che è possibile ottenere nel caso di vittoria del Sì. Dati alla mano, Stagnaro spiega che il nuovo Senato comporterà un risparmio di 156 milioni di euro all’anno, ai quali ne vanno aggiunti altri 10 derivati dalla chiusura del Cnel. Chiudono il cerchio i circa 350 milioni di euro che si potrebbero ricavare dalla decontestualizzazione delle Province, alle quali la riforma toglie dignità costituzionale. “Nel complesso – conclude – una stima ragionevole dei potenziali risparmi derivanti alla riforma costituzionale si avvicina ai 500 milioni di euro ipotizzati dal ministro Boschi”.
Inoltre Stagnaro, attivo anche nella campagna referendaria del Comitato “Basta un Sì”, nel luglio scorso ha scritto sul Foglio un intervento firmato insieme al responsabile economico del Pd Filippo Taddei per illustrare le tre ragioni per cui nessun Governo senza questa riforma potrà mai produrre un vero impatto positivo sulla crescita economica.

CHE COSA DICONO IL DIRETTORE E IL VICE

Seppure in maniera meno esplicita, anche un altro fondatore dell’Istituto Bruno Leoni pare orientato per il Sì. Si tratta del direttore Alberto Mingardi, che con Formiche.net aveva auspicato per Matteo Renzi una vittoria di Stefano Parisi a Milano perché – aveva detto – “il premier deve provare a rendere contendibili i voti del centrodestra. Ha bisogno di una apertura, che Forza Italia lasci libertà di coscienza almeno. Questo può succedere se a Milano vince Parisi, per un motivo molto semplice: oltre alla buona affermazione di Forza Italia alle Comunali, i più interpreterebbero la cosa come un segnale che con un candidato che guarda al centro si vince. Quel che rimane del ceto politico di FI penserebbe che può avere senso, elettoralmente, rimanere fedeli a posizioni liberali e riformiste. Che significa tenere una linea morbida, aperturista sul referendum e differenziarsi dai cinque stelle”.
Come noto, le cose sono andate in ben altro modo. Ma Mingardi non ha cambiato idea. In una recente intervista a Linkiesta, ha difeso l’intervento del Governo Monti dopo la crisi dell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi (“Monti ci salvò la faccia” ha detto), anche se poi non ha risparmiato stoccate all’ex premier per la sua scelta di votare No annunciata sul Corriere della Sera. “Il governo Renzi sta facendo una battaglia politica su una riforma costituzionale che si è intestato con grande determinazione” ha detto Mingardi a Linkiesta, aggiungendo che “il passaggio delle dimissioni in caso di vittoria del No è inevitabile, perché il referendum vede fortemente impegnati sia il premier sia i suoi ministri. Ma l’emergenza per ora non c’è”. “La più grossa minaccia per il nostro Paese non è però credo il referendum – ha specificato -, ma un rialzo dei tassi. A un certo punto avverrà, anche se non sappiamo quando. Allora, smetteremo di poterci indebitare a costo zero e i nodi verranno al pettine”.

Differente l’approccio che emerge dagli scritti di Serena Sileoni, vicedirettore dell’Istituto Bruno Leoni. “Il ministro Maria Elena Boschi ha azzardato un calcolo, dichiarando che la riforma porterà un risparmio di 490 milioni annui e un aumento del Pil, citando l’Ocse, del 6 per cento in dieci anni” – ha scritto di recente Sileoni – ma dare un valore economico a riforme che sono utili all’economia ma non hanno conseguenze dirette su di essa può essere un modo come un altro di fare campagna elettorale”. Non solo, Sileoni in altre occasioni ha criticato anche il merito della riforma, sottolineando “la confusione di ruoli tra Camera, Senato e regioni, perché c’è solo un’apparente differenza di competenze. E la scarsa chiarezza non porta mai nulla di buono”, ha detto in un’intervista, aggiungendo: “Hanno caricato il referendum di significato politico. Ed è sbagliato. Quando si tratta della Costituzione la riflessione dovrebbe essere diversa. La revisione dovrebbe essere fatta un poco per volta, senza stravolgere completamente l’impianto perché il rischio è lasciare delle parti incompiute”.

IL SI’ DI FRANCO DEBENEDETTI

Tra i sostenitori della riforma costituzionale c’è il presidente dell’Istituto Bruno Leoni Franco Debenedetti, che ha sviscerato sulle colonne del Sole24Ore quale sia “la posta in gioco tra un sì e un no”. “Se vince il No al referendum – ha scritto Debenedetti -, con la necessità di rimediare alla intrinseca instabilità di una Camera e un Senato eletti con leggi diverse, con una legge iper-proporzionale già scritta dalla Consulta, con un governo debole o perché sconfitto o perché precario, nulla ci salverà dallo scivolare nel proporzionale. Se lo vediamo noi, lo vedono anche coloro ci fanno credito: se pure l’instabilità politica di questa transizione si risolvesse senza scossoni, a preoccuparli basta il ritornare ai governi di coalizione, la riprova dell’incapacità di questo Paese di realizzare quello che i padri costituenti stessi avevano richiesto, cioè dotarsi di “strumenti costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e a evitare le degenerazioni del parlamentarismo (OdG Perassi)”. In un precedente articolo sempre sul quotidiano di Confindustria, Debenedetti aveva invece cercato di sfatare il mito della svolta autoritaria in caso di vittoria del Sì al referendum.

C’E’ CHI DICE NO

Il fronte del No nel pensatoio liberale è ben rappresentato da Carlo Lottieri e Ugo Arrigo. Lottieri, tra i fondatori dell’Istituto Bruno Leoni e direttore del dipartimento di Teoria Politica, in una lunga intervista al settimanale Tempi si è detto “fermamente convito che sia il momento di rivedere la nostra Costituzione”. Tuttavia, ha aggiunto parlando di federalismo, “credo che si debba immaginare una Costituzione federale che non è quella proposta nel referendum di dicembre. A mio parere è il momento di convocare una costituente in cui ogni Regione abbia diritto di veto a garanzia di ogni comunità. Le diverse realtà che compongono l’Italia devono avere il diritto di dire ‘no’ a una Costituzione che le penalizzasse”. Dal canto suo Ugo Arrigo, docente di Economia e Statistica all’Università degli Studi di Milano Bicocca, sul Sussidiario ha dettagliato le motivazioni che lo spingono a sostenere il No, ed è particolarmente attivo sui social nel difendere questa posizione.

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