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Referendum, che cosa non ha capito l’establishment politico

Un punto fermo (si pensi, uno per tutti, al gigantesco libro di Charles Murray “Coming apart”, ma anche ad un’altra mezza dozzina di saggi americani di cui ho parlato in questi mesi) è il progressivo distacco dalla realtà da parte delle élites.

Rappresentano ormai un’altra antropologia: i loro “problemi” (lo dice un liberista, non un nemico del mercato!) sono il mutuo della terza o della quarta casa, il tema della conversazione serale “cool” con gli amici, e la destinazione per le vacanze invernali. Tutto stralegittimo, ci mancherebbe: ma a patto di non perdere di vista lo scenario circostante, e la più dolorosa “agenda” di un immenso ceto medio e medio-basso impaurito, impoverito e soprattutto incazzato!

Cinque fotografie italiane raccontano bene cosa intendo dire:
– a Roma, il Sì ha vinto solo in due Municipii, Centro storico e Parioli (cioè i luoghi della “Roma bene”), perdendo invece in modo selvaggio in tutte le periferie;
– a Milano, nel primo Municipio (quello centrale, quello dei “salotti”), il Sì ha trionfato (65%);
– nei 100 Comuni con meno disoccupati, Sì è arrivato al 58-59%;
– invece, nei 100 Comuni con il maggior numero di disoccupati, il No ha raggiunto uno stratosferico 66%;
– tra i giovani dai 18 ai 34 anni, cioè nella fascia più insicura e con meno fiducia e meno certezze nel futuro (oltre che la più umiliata e derubata dalla politica tradizionale), il No ha raggiunto uno stratosferico 81%.

Più chiaro di così? C’è una questione economica che è divenuta questione antropologica: da una parte una platea ristrettissima di privilegiati, dall’altra una massa enorme di “avvelenati” in cerca di “vendetta”.

Qualcuno pensava che a costoro potessero interessare i dettagli istituzionali o la legge elettorale? Ecco perché il nostro establishment politico e mediatico (un po’ come Jim Messina…) non ne azzecca una: non hanno capito Brexit, non hanno capito Trump, e non hanno capito neanche il 4 dicembre. Un “triplete” indimenticabile per i nostri esperti e commentatori: non hanno capito nulla prima, ma ora – con le stesse facce – ci spiegano tutto dopo.

Ma torniamo (e smetto di sorridere) ai ceti medi e medio bassi in crisi drammatica. Rispetto a questa realtà sociale e antropologica, i Cinquestelle hanno già vinto, almeno per ora. Il centrodestra avrebbe ancora una piccola chance, ma deve scegliere le primarie: una specie di “X Factor” per rioccupare la scena, oltre che una gara di idee per ricostruire una proposta innovativa e convincente per provare a rivolgersi a quelle fasce.

Dentro questo perimetro, c’è la proposta della Convenzione Blu. Ieri Raffaele Fitto ha reso noto il nuovo appuntamento, dopo il successo dello scorso 5-6 novembre: ci vedremo a Roma il 17 dicembre, tra 11 giorni. I temi e le proposte votate il 5-6 (e tuttora votabili online), con una limpida impronta liberale su tutto (Europa, tasse-spesa-debito, pensioni, immigrazione, burocrazia, ecc), diverranno un impegno politico sempre più tempificato e concreto.

Mi spiego con un solo esempio: abbiamo prima parlato dei giovani. Una delle battaglie scelte dalla Convenzione Blu è quella per un sistema pensionistico a capitalizzazione individuale: una vera rivoluzione pro-giovani, un capovolgimento delle logiche attuali. Occorre entrare in questo ordine di idee: proposte per rivolgersi e rivolgerci direttamente a milioni di persone, al di là delle geometrie e degli esoterismi di palazzo.

C’è la possibilità di costruire una “cosa” seria e robusta: con un solido aggancio internazionale (i Conservatori inglesi ed europei), un programma pro-modernizzazione, e una classe dirigente competente e non dogmatica. È una grande chiamata al mondo produttivo, alle persone libere, all’imprenditoria non irregimentata, ai liberali-outsider e senza casa, ai giovani, per una nuova semina. L’occasione è propizia. E va colta al volo.

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