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La verità sul referendum emersa dalla direzione Pd

Chi attendeva un’analisi approfondita dell’esito referendario del 4 dicembre dalla direzione nazionale del Pd convocata oggi sarà rimasto deluso. O meglio, l’analisi non è arrivata (ancora) dai vertici del Partito democratico, dunque né dal segretario Matteo Renzi né dal presidente dell’assemblea Pd, Matteo Orfini. Militanti, iscritti e simpatizzanti democrat hanno comunque potuto ascoltare in streaming parole chiare sul tema. Le ha espresse con cruda franchezza il senatore Salvatore Margiotta, non un esponente della sinistra interna, né un renziano tiepido o abulico, ma un appassionato sostenitore delle riforme e della leadership di Renzi.

Che cosa ha detto in sostanza il senatore renziano? Ecco la sintesi: abbiamo sottovalutato un aspetto dei partiti e dei movimenti che votavano No; non abbiamo tenuto conto della compattezza dell’elettorato del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, della Lega di Matteo Salvini e di Forza Italia di Silvio Berlusconi; abbiamo dunque sottovalutato che era arduo vincere contro tre movimenti del genere che erano uniti, come i rispettivi elettorali, nel dire No al referendum sulla riforma costituzionale.

Una considerazione papale papale, terra-terra, quasi aritmetica, ma talmente semplice che però segna una sberla alla sicumera di chi nel Pd era pressocché convinto che la vittoria era davvero a portata di mano.

La riflessione di Margiotta ha però un corollario, anzi due. Il primo: l’Uno contro Tutti (e l’Uno era Renzi) che è stato inscenato dai vertici del Pd in occasione del referendum si è via via trasformato in Tutti contro Uno, ovvero tanti contro il solo Renzi. Il secondo corollario: non aver considerato davvero questa eventualità ha fatto sì che la personalizzazione della consultazione (forse inevitabile con avversari che in caso di vittoria del No avrebbero comunque invocato le dimissioni del premier perdente) ha indotto il presidente del Consiglio a portare alle estreme conseguenze il risultato elettorale (con l’abbandono di Palazzo Chigi) invece di lasciare aperte altre ipotesi interlocutorie per completare la legislatura.

Ma la fiera della vanità ha avuto la meglio sul senso delle istituzioni.

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