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Mediaset, Telecom, Unicredit. Come procede l’arrembaggio francese in Italia

Stefano Cingolani

Ci risiamo: l’Italia terra di conquista, difendiamo l’italianità, resistiamo al declino. I francesi si prendono tutto, le banche, le assicurazioni, ora anche Mediaset. Cosa accadrebbe Oltralpe se fossero gli italiani all’attacco? Perché noi non ci difendiamo? E’ un coro sui giornali, un tam tam nell’opinone pubblica, siamo pronti a scommettere che diventerà un tormentone della propaganda pre-elettorale (siamo già in campagna, lo si vede già con l’insediamento del governo Gentiloni). Per rispondere a queste domande, tutte legittime anche se grondano retorica, non c’è che porre un’altra domanda: e dove sono gli italiani? Dove sono gli “imprenditori bancari” come li chiamava Enrico Cuccia, disposti a mettere i loro quattrini per rafforzare Unicredit o per salvare il Monte dei Paschi? Le banche pubbliche sono state privatizzate male, affidandosi alle Fondazioni le quali per la verità si sono svenate nel bene e nel male (Montepaschi docet). Hanno difeso i propri interessi, i poteri locali anche politici, ma hanno pagato. Mentre non c’è un capitalista italiano che abbia fatto altrettanto.

Come diceva ancora il vecchio Cuccia, “nel passato importanti gruppi industriali privati si sono assicurati il controllo di banche unicamente quali strumenti ancillari alla loro espansione”. Nel presente si sono accontentati di mettere una fiche per rivendicare un posto in consiglio di amministrazione. E’ così in Unicredit come nelle Assocurazioni Generali, tanto per parlare dei due colossi finanziari guidati da manager parigini e pilotati (questa l’accusa) verso un destino francese. Non c’è bisogno di fare nomi, basta guardare il libro soci e la governance.

Un discorso simile vale anche nelle telecomunicazioni dove il succedersi di capitalisti italiani non è stato baciato dal successo. O nei media, a cominciare dalla televisione. Nessuno conosce il nascondiglio dei capitalisti coraggiosi, né che cosa facciano in concreto coloro i quali hanno venduto a tedeschi, cinesi o francesi, appunto, giurando che con il ricavato avrebbero giocato un ruolo importante nella finanza italiana (come ha detto Carlo Pesenti).

E adesso che cosa può fare il governo, cacciare i manager francesi alla guida di Unicredit e delle Generali, nazionalizzare Mediaset magari insieme al Montepaschi, creare una pillola avvelenata contro Vincent Bolloré e buttarlo fuori da Telecom Italia e da Mediobanca? Se ne sentono di tutti i colori e molte altre se ne sentiranno nelle prossime ore e nei prossimi giorni con questi clima da dilettanti allo sbaraglio, da professionisti della chiacchiera politica, gente che non ha mai lavorato avrebbe detto Silvio Berlusconi. La realtà è che nel mondo, fuori di qui, lontano dal cosiddetto Palazzo e dalla buvette di Montecitorio, c’è chi ha strategie, idee e soldi per realizzarle. Il “sistema Italia” invece non mette in campo nulla.

Vedremo dove si fermerà Bolloré nella scalata a Mediaset. Ha detto che prenderà il 20% e non più, ma forse la sua tattica è ancora nascosta. La sua strategia, invece, è abbastanza evidente: vuole stringere i tempi per creare la Netflix del sud Europa prima che arrivino altri, a cominciare da Rupert Murdoch. In Francia ha chi produce contenuti (Vivendi, Canal +) ma non basta. In Italia ha chi li può distribuire (Telecom che va fa capo a Vivendi), però manca una strategia comune e in ogni caso non sarebbe ancora sufficiente. Mediaset può essere un valore aggiunto importante, ha il 56% del mercato pubblicitario italiano, è forte in Spagna ed è ancora nubile.

Silvio Berlusconi può alzare le più alte barricate (e lo farà) per difendersi, ma si rende conto che la sua splendid isolation sta finendo. Ha già tentato di agganciare Murdoch, però “lo Squalo” è occupato a muovere le sue pedine, fondendo Fox e Sky perché nemmeno lui può stare fermo. Anche la pay tv ha i giorni contati se non entra in un gioco più grande dove “il contenuto è re e la distribuzione regina”, come si dice.

Il governo al massimo potrà incontrare a Palazzo Chigi Fedele Confalonieri e Guy de Puyfontaine, non ha altri strumenti. Massimo Mucchetti ha lanciato l’idea che possa entrare in gioco usando la Rai. Intendiamoci, così com’è non serve a molto. Ci vorrebbe un cambiamento radicale, separando il servizio pubblico dalla tv commerciale e prendendo atto che il digitale terrestre sul quale tutti si sono accapigliati ai tempi della legge Gasparri, fa già parte del passato. La nuova partita tecnologica si gioca sul 4K e per questo i canali tradizionali non bastano, ci vuole o il satellite o la fibra ottica. Renzi ha sfidato Telecom Italia con l’Enel proprio sulla fibra. Il premier Paolo Gentiloni, che conosce questa materia, potrebbe sfidare Vivendi con la Rai sul terreno dei contenuti; potrebbe farlo, in teoria, se avesse la prospettiva di stare al governo qualche anno invece di qualche mese. Invece così non sarà. Quindi, quella di Mucchetti resta una provocazione intellettuale. Grazie anche al fronte del No (del quale il giornalista senatore del Pd ha fatto parte insieme, del resto, a Berlusconi).

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