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Ecco come l’Italia rafforza l’allerta su foreign fighter e jihadisti

marco minniti, cie, ministro

Tra il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, le risse sulla legge elettorale e l’arrivo del Natale, gli italiani avevano dimenticato (forse) uno dei problemi più giganteschi di questi tempi: il terrorismo islamico, che ha nuovamente insanguinato l’Europa con l’attentato di Berlino del 19 dicembre (12 morti e 48 feriti). Non l’avevano certo dimenticato i vertici delle forze dell’ordine e dell’intelligence che anzi, nel convegno organizzato dall’Arma dei Carabinieri lo scorso 30 novembre (qui l’articolo di Formiche.net), avevano esposto con insolita chiarezza i rischi che corrono l’Italia e l’Europa, confortati anche da pareri di esperti francesi e statunitensi. Pascal Mariani, del coordinamento antiterrorismo francese, per esempio aveva parlato di “minaccia molto grave” ipotizzando anche un ritorno sulla scena di al-Qaeda di cui “attendiamo un attentato, magari non in Francia”.

Quello di Berlino sembra sia stato rivendicato dall’Isis e nessuno può dire, naturalmente, quali siano le aree più a rischio perché in Europa lo sono tutte. I mercatini di Natale sono un classico “soft target”, un obiettivo molto più facile da colpire rispetto ai cosiddetti “obiettivi sensibili”, cioè quelli politici e istituzionali, e l’uso dei veicoli come arma rende molto più complicata la prevenzione. Inoltre, è noto che a novembre la rivista jihadista Rumiyah aveva spiegato in dettaglio come attaccare i mercatini natalizi proprio con quella tecnica. Il prefetto Alessandro Pansa, direttore del Dis (il dipartimento che coordina le agenzie dei servizi segreti), in quel convegno (qui l’articolo di Formiche.net) parlò di “rischio incombente che si può concretizzare in ogni momento” a causa del ritorno dei foreign fighters dai teatri di guerra, “anche se in Italia non abbiamo grandi presenze di questo ritorno”.

All’indomani dell’attentato di Berlino il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha convocato il Casa, il comitato di analisi strategica antiterrorismo nel quale sono rappresentate le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence, e la prima indicazione è stata quella di rafforzare le zone che saranno più frequentate nel periodo natalizio: è stata diramata una direttiva a tutti i prefetti e questori perché rafforzino “i controlli nelle aree di maggiore afflusso di persone in occasione dello svolgimento di eventi o cerimonie previste per le prossime festività natalizie nonché verso luoghi che notoriamente registrano particolare afflusso di visitatori”. Il 16 dicembre Minniti aveva presieduto il suo primo Comitato nazionale per l’ordine pubblico nel quale si era già deciso di “mantenere alto il livello di attenzione e vigilanza, anche per i riflessi sotto il profilo dell’ordine pubblico e nei confronti degli obiettivi sensibili”, dicendosi anche favorevole alla proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2017, dell’impiego di 7.050 militari delle Forze armate nei servizi di vigilanza del territorio e a obiettivi sensibili, l’operazione “Strade sicure”. In quel convegno di fine novembre Minniti, che era ancora sottosegretario all’intelligence, riepilogò ciò che l’Italia considera urgente: il controllo delle frontiere di Schengen, la costituzione di un comitato europeo come il Casa, nel quale lo scambio di informazioni fa funzionare bene il sistema-Italia, e più in generale un accordo con i provider del web per combattere quelli che il generale Mario Parente, direttore dell’Aisi, ha chiamato “islamonauti”.

L’attentato di Berlino, purtroppo, non sorprende gli investigatori. In quel convegno, di fronte a centinaia di addetti ai lavori e a decine di giornalisti, Parente fu chiarissimo: “L’Italia può essere teatro di pianificazioni terroristiche complesse, com’è avvenuto in Francia e in Belgio con operativi addestrati sul luogo o con foreign fighters di ritorno. Dall’Italia ne sono partiti 112. L’altra possibilità è al-Qaeda che, parallelamente al calo dell’Isis, potrebbe riaffermare il proprio ruolo con attentati eclatanti”. Il direttore dell’Aisi non dimenticò i lupi solitari, “piccole cellule che potrebbero fondersi con chi torna e usare tecniche apprese in guerra”. La prevenzione è resa più difficile dalla parcellizzazione dei luoghi potenzialmente a rischio: più che dalle moschee, oggi il pericolo viene da internet point, negozi kebab, macellerie islamiche, carceri, strutture di accoglienza per immigrati. Né è sufficiente controllare le zone degradate: un’analisi dell’Aisi ha scoperto che solo il 21,6 per cento su 200 soggetti legati al terrorismo, tra arrestati ed espulsi, viveva nelle periferie. Sul piano internazionale, la guerra al terrorismo jihadista è difficile perché “opera sia in modo simmetrico che asimmetrico”, cioè sia con guerre tradizionali che con attentati, come rilevò il direttore dell’Aise, Alberto Manenti.

Dal punto di vista sociale, l’ennesimo attentato complica la gestione del fenomeno dell’immigrazione. Se sono scontate le polemiche in Germania sulla politica dell’accoglienza di Angela Merkel in vista delle elezioni dell’autunno 2017, c’è da scommettere che anche in Italia il tema sarà utilizzato sempre di più nella ormai perenne campagna elettorale: al 16 dicembre erano sbarcate 179.523 persone, il 19,36 per cento in più dell’anno scorso. E certo non aiuta il rifiuto di molte nazioni europee di accogliere una cospicua quota di migranti oggi in Italia.

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