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Vi racconto la storia di amore-odio fra Silvio Berlusconi e Stefano Parisi

Silvio Berlusconi

Non vorrei essere in questi giorni nei panni di Stefano Parisi. Che è ormai l’ex incaricato, federatore, facilitatore e non ricordo più in quanti altri modi fu chiamato quando Silvio Berlusconi gli affidò il compito di rimettere in salute sia Forza Italia, facendogli aprire le porte delle sue sedi per una esplorazione delle varie situazioni locali, sia l’intera area di quello che fu e molti continuano a chiamare centrodestra, immaginandone ottimisticamente una nuova edizione nazionale. A livello regionale, si sa, esso è sopravvissuto in Lombardia, Veneto e Liguria. Non sono regioni da poco, certo, ma sono pur sempre una minoranza.
Di quello scenario suggerito dall’incarico di Berlusconi a Parisi, quasi di supporto al compito assunto dai medici di rimettere in salute lo stesso Berlusconi dopo il gravoso intervento effettuato sul suo cuore, è rimasto ormai più un ricordo che altro, anche se ogni tanto leggo d’incontri, interviste e dichiarazioni del mancato sindaco di Milano. Più che una realtà, quello scenario è diventato un presepe, per restare nelle immagini di questi giorni di festa.
Eppure Parisi perse all’improvviso l’investitura di Berlusconi per avere osato fare con poco più di un mese di anticipo esattamente ciò che sta facendo in questo scorcio d’anno lo stesso Berlusconi: una presa netta di distanze dal segretario leghista Matteo Salvini. Del quale l’ex presidente del Consiglio ha d’incanto ricordato e lamentato i trascorsi “giovanili di comunista”. Che sono però gli stessi di altri leghisti con i quali Berlusconi intrattiene ancora eccellenti rapporti. E sul cui aiuto ha anche sperato e forse ancora spera di ridurre alla ragione, la sua ragione naturalmente, l’irrequieto capo del Carroccio, smanioso di tante cose che al presidente di Forza Italia non piacciono o non fanno comodo. Sono, per esempio, le elezioni il più presto possibile, anche ripristinando il sistema misto di maggioritario e proporzionale noto come Mattarellum e riproposto dall’ancora segretario del Pd Matteo Renzi. E le primarie su chi dovrà assumere la guida un rinnovato centrodestra e candidarsi poi alla presidenza del Consiglio.

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Le primarie che Salvini non vede l’ora di fare, anche da solo con Giorgia Meloni, sono premature agli occhi di Berlusconi per varie ragioni: per una mancata disciplina legislativa di questo strumento di selezione della classe dirigente, per le posizioni tuttora troppo lepeniste, cioè di destra, del segretario leghista e soprattutto per la partita ancora aperta nella cosiddetta Corte europea di Strasburgo sul ricorso contro le condizioni di incandidabilità in cui egli si trova sino al 2019, cioè ben oltre la scadenza sia anticipata sia ordinaria della legislatura cominciata nel 2013.
Se questo stato d’incandidabilità, derivante dalla condanna definitiva del presidente di Forza Italia per frode fiscale, dovesse venir meno, come gli ha di recente augurato Renzi pur avendo a lungo indugiato, quando era al governo, a mandare a Strasburgo le carte necessarie a sbloccarne il ricorso, secondo Berlusconi le primarie perderebbero senso. È nota la sua convinzione di essere il leader, diciamo così, più naturale e desiderato dagli elettori di quello che fu e dovrebbe tornare ad essere il centrodestra, specie ora che, pur a 80 anni compiuti, egli dispone di un cuore rimesso quasi a nuovo.
A qualcuno di voi verrà forse la voglia a questo punto di sorridere di scetticismo. Ebbene, fareste male perché Berlusconi è davvero convinto del suo stato di grazia. E quando lui si mette in testa una cosa, non c’è niente e nessuno che riesca a fargli cambiare idea. Così come accadde, del resto, proprio quando egli rimosse il povero Parisi dall’incarico conferitogli ritenendo intempestivo il suo attacco a Salvini, mosso durante una manifestazione a Padova qualche ora dopo che il segretario leghista da una piazza di Firenze, parlando accanto al solitamente sorridente governatore ligure e forzista Giovanni Toti, aveva dato a Berlusconi del “Re Tentenna” e si era riproposto alla guida di un nuovo centrodestra.

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Non è che quel giorno, sabato 12 novembre, Parisi si fosse fatto prendere da un momento d’ira, magari per quel presunto caratteraccio contestatogli da Fedele Confalonieri, reagendo al comiziaccio di Firenze con queste parole, all’incirca: “Noi con quelli là con c’entriamo”. Cosa che sembra avesse mandato su tutte le furie non si sa se più Salvini o Toti, entrambi comunque affrettatisi a lamentarsene con Berlusconi. Toti, d’altronde, aveva ingaggiato in Forza Italia dal primo momento una gara col capogruppo della Camera Renato Brunetta a chi le sparava più grosse contro Parisi.
Proprio quella mattina era uscita sul Corriere della Sera un’intervista di Berlusconi tanto lunga quanto galeotta per il povero Parisi, in cui l’ex presidente del Consiglio aveva richiamato Salvini alla moderazione e tenuto a non confondersi con la destra definendosi “di centro”. Un’intervista, quella, cercata e studiata da Berlusconi proprio in vista del raduno fiorentino al quale aveva preferito non partecipare, facendosi in qualche modo rappresentare da Toti sul palco e, fra il pubblico raccoltosi in piazza, da altri forzisti, fra cui naturalmente Daniela Santanchè, detta anche “la Santa”, che è il compiaciuto titolo di una sua recente autobiografia, o “pitonessa”.
Sarebbe curioso sapere l’opinione di questi ed altri forzisti accorsi il 12 novembre a Firenze di fronte a quella che in questi giorni tutti hanno definito, non a torto, “la svolta”, l’ennesima, di Berlusconi. Che ha scoperto da un po’ di tempo le qualità di Sergio Mattarella, pur avendo rotto per la sua elezione al Quirinale il cosiddetto patto del Nazareno con Renzi quasi due anni fa, sia pure lamentandone solo “il modo”. Ed ora è pieno di attenzioni e premure, politiche e personali, col nuovo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Che ha ricambiato prendendo le difese della famiglia Berlusconi dalla scalata francese di Vivendi a Mediaset.
È una svolta, quella di Berlusconi, molto apprezzata peraltro dall’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che potrebbe sfociare dopo le elezioni, salvo pur improbabili sorprese di Beppe Grillo, in un nuovo e – lui spera – più fortunato governo delle “larghe intese”. E ciò specie, o solo se alle urne Berlusconi riuscisse ad arrivare con un sistema elettorale tanto proporzionale da sottrarlo alla sempre più scomoda necessità di inseguire, con un sistema maggioritario, l’alleanza con Salvini lasciandosene pesantemente condizionare, secondo i timori avvertiti con troppo anticipo, ripeto, dal povero Parisi. Che in politica è presbite piuttosto che miope.

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