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Come combattere la stagnazione secolare

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Poco prima di Natale, il gruppo del consensus (venti istituti di analisi econometrica, tutti privati, nessuno italiano) ha pubblicato le proprie previsioni per il 2017. Non sono incoraggianti, soprattutto per l’Europa dove il tasso di crescita, già basso, subirebbe di nuovo un leggero rallentamento. Ancor meno per  l’Italia, la cui frenata (dopo le illusioni di una ripresa) sarebbe ancora più marcata. Si torna a parlare di “stagnazione secolare”. Che affliggerebbe soprattutto il continente vecchio, nonostante forti iniezioni di liquidità che, almeno in Europa, non hanno avuto quasi nessun effetto sulla crescita reale.

Nel numero doppio natalizio, The Economist dedica il suo consueto editoriale sulla politica ed economia a Stefan Zweig, intellettuale, poeta, scrittore austriaco (suicidatosi in esilio in Messico, perché ebreo, dopo essere stato costretto a scappare dal vecchio continente); negli Anni Venti e Trenta Zweig aveva precorso Il Manifesto di Ventotene nell’auspicare l’unità europea come modo per superare le guerre; ma lo vedeva come un pendolo che, nei secoli, andava avanti ed indietro, tra “tribalismo” iper nazionalista ed aspirazione ad una cooperazione sempre più stretta tra le nazioni. E’ altamente possibile che, sotto il profilo socio-politico, Zweig avesse una visione più lucida dei federalisti di Ventotene. Non bastano certo le geremiadi che mancano leader come Kohl, Mitterrand e Delors; sono una parte crescente delle popolazioni europee che vedono, il vero o presunto dirigismo dell’eurocrazia come la causa dei loro mali e l’euro come il suo simbolo.

Il problema non è unicamente tipico del continente vecchio. Nessuno nel 2009 avrebbe mai immaginato che i tassi Usa sarebbero rimasti a zero per sei anni, che quelli europei sarebbero diventati negativi, e che le banche centrali dei Paesi del G7 avrebbero aumentato il proprio bilancio di oltre cinque trilioni di dollari. E anche se l’avesse immaginato, non avrebbe mai potuto prevedere che l’inflazione negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone sarebbe rimasta ben al di sotto del 2%. Eppure è quello che è accaduto e sta accadendo, spiega con la consueta verve Larry Summers, ex Segretario al Tesoro Usa all’epoca di Bill Clinton, ora docente ad Harvard (e nipote di ben due premi Nobel, Paul Samuelson e Kenneth Arrow). Forse l’economista che con più convinzione ha rispolverato il concetto di “stagnazione secolare”. In un articolo, su Foreign Affairs, Summers spiega che i tassi di interesse di lungo termine segnalano questa situazione: inflazione vicina all’1% per un altro decennio e tassi reali a zero su ogni orizzonte temporale.«In altre parole, dopo sette anni di ripresa negli Stati Uniti, i mercati non si aspettano che si torni alla “normalità”».

La “stagnazione secolare” è un concetto che risale agli Anni Trenta, e più precisamente all’economista Alvin Hansen. Cosa significa? Che le economie industriali soffrono di squilibri legati all’aumento della propensione al risparmio e alla diminuzione di quella a investire. Il che frena risparmio, crescita e inflazione schiacciando a terra i tassi d’interesse reali.

La stagnazione secolare aumenta i pericoli di politiche monetarie espansive e competitive – spiega Summers – e anche di guerre valutarie”. Ma si tratta di un gioco a somma zero, poiché le oscillazioni valutarie spostano la domanda da un’area monetaria a un’altra senza aumentarla a livello globale. Quello che ci vorrebbe disperatamente, al posto delle guerre valutarie, è un coordinamento internazionale “per evitare un ricorso eccessivo e controproducente alle politiche monetarie e per affrontare assieme i problemi affidandosi alle politiche fiscali”. Ritornare a Bretton Woods, ed in Europa forse agli accordi europei sui cambi (colloquialmente chiamati Sme) potrebbero essere percorsi fattibili?

Per l’economia internazionale è difficile pensare che i principali attori dell’economia internazionale (Stati Uniti, Cina, Russia), siano interessati ad un sistema di cambi flessibili e gestiti, in modo cooperativo, a livello del Fondo monetario e di altra istituzione finanziaria. Ancora più arduo pensare che gli Stati del Nord e del Centro Europa possano accettare di modificare le regole di base dell’unione monetaria e fare un passo indietro rispetto di quello che ancora il sogno dei “federalisti”.

L’unica alternativa possibile per Paesi come l’Italia consiste nel cercare di uscire dalla trappola della stagnazione secolare aumentando la produttività dei fattori di produzione, ma da oltre un decennio non vengono effettuate politiche di innovazione, ampliamento delle imprese, modernizzazione. Non resta che continuare a saltellare: in linea con l’Anno del Gallo attribuito dal calendario cinese al 2017 ormai alle porte.

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