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Cosa si è detto (e mormorato) all’assemblea dei cattolici cinesi

xi jinping

Si assicura una Chiesa cattolica allineata al Partito comunista e al suo segretario generale, Xi Jinping (nella foto). Così, stando a quanto riporta il quotidiano semiufficiale Global Times, il vescovo Ma Yinglin ha concluso i lavori della nona Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi che si è svolta a Pechino da martedì a giovedì 29. Una conferenza che ha promesso di sostenere il principio di indipendenza della Chiesa (da Roma, non da Pechino); l’autonomia e l’autogoverno (dalla Santa Sede, non dal partito); il patriottismo, in un percorso di sinizzazione “adattato alla società socialista”.

I LAVORI DELLA NONA ASSEMBLEA

All’Assemblea – in pratica un organismo di controllo del governo sul cattolicesimo cinese – erano presenti 365 delegati. Tra loro, 59 vescovi. Al termine dei lavori, i rappresentanti sono stati ricevuti da Yu Zhengsheng, membro del comitato permanente del Politburo del Partito comunista cinese nella Grande sala del popolo in piazza Tiananmen. Yu ha citato il discorso del presidente Xi Jinping dell’aprile scorso. Un discorso, giudicava John Ai per Asia News, che mostra come la politica religiosa del Partito comunista cinese “rimane la stessa di sempre”. Xi aveva legato le dottrine religiose alla sicurezza dello Stato e all’unificazione della nazione. “Temi – osservava Asia News – che vengono normalmente citati per i musulmani dello Xinjiang e per i tibetani del Tibet. Entrambi i gruppi sono spesso accusati di terrorismo e di lavorare per l’autonomia del territorio, staccandolo dalla madrepatria. Ma ormai, nella retorica del Partito non si fa più alcuna differenza con le altre religioni, anche se non hanno caratteristiche violente o velleità indipendentiste”. Al termine dell’omaggio al partito, i delegati dell’Assemblea si sono recati nella cattedrale di Pechino per un momento di preghiera presieduto dal vescovo Ma Yinglin, ordinato illecitamente nel 2006, quindi scomunicato.

NUOVI E VECCHI LEADER

L’Assemblea ha eletto le nuove autorità dell’Associazione patriottica e della Conferenza episcopale (non riconosciuta da Roma). Per UcaNews, la maggioranza dei nuovi responsabili sono vescovi nominati con il consenso della Santa Sede. Diversa l’analisi di Asia News: i vertici sono gli stessi della vecchia guardia con prevalenza di vescovi illegittimi. Ma Yinglin (vescovo illegittimo) e Fang Xingyao (riconosciuto anche dal Vaticano) sono stati riconfermati rispettivamente a presidenti del Consiglio dei vescovi e dell’Associazione patriottica. “Gli unici due nuovi nomi – scrive AsiaNews – sono quelli di He Zeqing di Wanzhou (Chongqing) e di Yang Yongqiang di Zhoucun (Shandong). Entrambi sono riconosciuti dalla Santa Sede e dal governo”. Promosso il vescovo Shen Bin (in comunione con il Papa) a vicepresidente dell’Associazione patriottica e dell’Assemblea dei vescovi.

LA POSIZIONE DELLA SANTA SEDE

Dopo le ordinazioni episcopali di fine novembre sembrava che il cammino di dialogo tra Vaticano e Cina fosse ad una svolta, dal momento che proprio la questione vescovi rappresenta il nodo cruciale dell’accordo. Difatti in quei tre casi i nuovi vescovi sono stati indicati da Roma e accettati dal regime. Peccato che in due occasioni Pechino abbia imposto in chiesa, sia pure senza un ruolo diretto nella consacrazione, la presenza di un monsignore scomunicato nel 2011, Lei Shiyin, scatenando le proteste dei fedeli. E delusione per il silenzio del Vaticano. Che però il 20 dicembre ha risposto: una dichiarazione del direttore della Sala stampa  esprimeva “dolore” e condivisione per il turbamento dei cattolici cinesi. Riferendosi all’imminente Assemblea, il Vaticano aveva ribadito come fosse “nota da tempo la posizione della Santa Sede circa questi eventi, che implicano aspetti della dottrina e della disciplina della Chiesa”. Il giudizio – sia pure non riportato nella nota ufficiale – è quello di Benedetto XVI e confermato da Francesco, di qualcosa di “inconciliabile con la dottrina cattolica”. Senza arrivare alla rottura del 2010, quando si invitò i vescovi a non partecipare all’incontro, il Vaticano si era dunque limitato ad attendere per giudicare “in base a fatti comprovati”, auspicando “segnali positivi che aiutino i cattolici cinesi ad avere fiducia nel dialogo tra le Autorità civili e la Santa Sede e a sperare in un futuro di unità e di armonia”. E’ evidente come solo nei prossimi giorni si vedrà se, e come, il Vaticano giudicherà l’esito dell’Assemblea, e quanto questo influenzerà i rapporti Roma-Pechino.

INSODDISFAZIONE IN CINA

AsiaNews scrive apertamente di insoddisfazione dei cattolici cinesi per come si è svolta l’Assemblea e riporta l’affermazione di un sacerdote della Chiesa sotterranea: il paonazzo della veste episcopale simbolizza il versare il sangue per il gregge, nell’Assemblea di Pechino sembra che quel colore si sia trasformato nello stesso rosso del regime comunista.

E ADESSO?

Nei giorni scorsi Yan Kejia, direttore dell’Istituto di Scienze Religiose di Shanghai, dichiarava al Global Times che la conferenza è più sullo sviluppo dei rapporti tra i cattolici cinesi e non è necessariamente legato alla relazioni sino-vaticane. Alla vigilia della conferenza però, Pechino aveva parlato chiaro: l’Amministrazione statale per gli affari religiosi e il Ministero degli Esteri hanno ribadito che il Vaticano deve fermare le sue “relazioni diplomatiche” con Taiwan e riconoscere che l’isola è parte della Cina. Ricordando inoltre come l’Assemblea che si stava aprendo dovesse gestire i problemi interni in modo indipendente. Esattamente quanto emerso dalla tre giorni: in un comunicato finale in parte riportato da El Diario Vasco, i partecipanti alla riunione hanno sottolineato la loro intenzione di “persistere nella strada cattolica con caratteristiche cinesi”, sostenendo che “l’indipendenza” della Chiesa per quanto riguarda il Vaticano è una “dimostrazione di dignità e fiducia in se stessi”.

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