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Ecco verità e frottole sull’aumento dei licenziamenti disciplinari

Giuliano Poletti

Le statistiche periodiche dell’Inps evidenziano che sono in aumento i licenziamenti disciplinari (per motivi soggettivi o per giusta causa). L’Istituto fornisce anche una spiegazione per questo fenomeno, ma i commentatori e i media preferiscono non approfondire e salvarsi in corner attribuendone la responsabilità al Jobs act e segnatamente al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che rende più facile, appunto, licenziare. Su di un grande quotidiano sono apparse addirittura due storie di lavoratori licenziati a cui il contratto di nuovo conio non si applicava. E’ noto, infatti, che le norme di cui al dlgs n.23 /2015 si applicano ai lavoratori nuovi assunti a partire dal 7 marzo di quell’anno. Ed è irrealistico che in pochi mesi costoro siano incorsi in massa in sanzioni disciplinari comportanti il licenziamento (considerando anche che si portano appresso la significativa dote della decontribuzione, la quale svanisce se si risolve il rapporto di lavoro). A che cosa è dovuto, dunque, l’incremento dei licenziamenti disciplinari? L’Inps ha fornito una spiegazione che è stata ben presto avvolta dalla nebbia, dal momento che sembrava politicamente più corretto incolpare il famigerato Jobs act. Invece, i licenziamenti per giustificato motivo e per giusta causa sono aumentati per colpa di una norma cretina sulle c.d. dimissioni in bianco. Sia chiaro: quella di far firmare ai lavoratori (e in particolare alle lavoratrici) una lettera che il datore potrà usare, a suo discrezione, come atto di dimissioni (evitando così le procedure del recesso) è una prassi disonesta, infame e meritevole di essere contrastata in ogni modo. Con buon senso, però; come aveva provveduto a fare la legge n.92/2012 (la riforma Fornero del mercato del lavoro). Perché avessero effetto le dimissioni dovevano essere date in una sede ‘’protetta’’(sindacale, amministrativa, ecc.), con modalità trasparenti e come espressione della libera volontà del lavoratore. In caso contrario (ovvero in mancanza degli adempimenti previsti) il rapporto di lavoro continuava a sussistere. Veniva tuttavia tutelato anche il datore di lavoro per i casi in cui il dipendente (capitava con molti stranieri) non seguisse le procedure stabilite o non si presentasse più in azienda. Il datore poteva “metterlo in mora’’ invitandolo a rientrare al lavoro entro un certo periodo, trascorso inutilmente il quale il rapporto si intendeva risolto. In questa legislatura le Erinni del Parlamento hanno preteso di ripristinare una disciplina, abrogata a suo tempo del Ministro Maurizio Sacconi, che si era rivelata funesta. Per dare le dimissioni il lavoratore doveva scaricare e compilare un apposito modulo dal sito del Dicastero del Lavoro. Senza neppure prendersi la briga di monitorare gli effetti delle norme della legge n.92, si è voluto tornare a quella impostazione. Ma se uno non segue la procedura informatica che cosa succede? Che il rapporto non si scioglie e che il datore deve licenziare il soggetto per assenza continuativa ed ingiustificata. In sostanza è costretto ad avvalersi del suo potere disciplinare, con tutti i rischi che comporta un licenziamento (l’impugnazione, l’esame del giudice, il risarcimento) oltre al pagamento della ‘’tassa’’ prevista. Come se non bastasse, questi datori di lavoro, messi – senza alcun motivo plausibile – in un’oggettiva difficoltà operativa, diventano dei profittatori delle norme ‘’che hanno reso più facile licenziare’’ e che potrebbero anche essere sottoposte a referendum abrogativo se la Consulta, il prossimo 9 gennaio, dovesse dichiarare ammissibile il quesito promosso dalla Cgil.

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Sono quasi 5 milioni gli italiani che hanno un lavoro principale a cui aggiungono un’altra attività. Un lavoratore su cinque in Italia ha un doppio lavoro e se il primo è regolare il secondo spesso non lo è affatto, ma è al nero. Lo rivelano l’analisi dei dati Istat, mettendo a confronto il numero degli occupati ufficiali nei diversi settori con le posizioni lavorative registrate, regolari e non.

Il confronto è tra i 24.838.000 occupati ufficiali in media d’anno del 2009 e 29.617.000 posizioni lavorative registrate, che rivelano 4.779.000 eccedenze, che equivalgono appunto ai quasi 5 milioni di italiani che hanno un doppio lavoro. Il secondo lavoro, in tempi di crisi, per molti è diventato una necessità, per il bisogno di integrare un reddito che è sempre più scarso. Nell’esercito dei doppiolavoristi, poi, vi sono anche dei cassintegrati o persone in mobilità, il cui assegno mensile è a sua volta decurtato. La maggior parte dei lavoratori con doppio lavoro sta nei servizi, con oltre 3,5 milioni di indaffarati con attività plurime, un valore dieci volte superiore a quello dell’industria, che registra 340 mila doppiolavoristi ufficiali. Sono invece quasi 900 mila nell’agricoltura, in cui prevalgono anche gli autoproduttori, cioè coloro che lavorano la terra per gli altri e in più hanno anche un loro orto da accudire. Ma quelli del secondo lavoro e del sommerso si trovano nel commercio, negli alberghi, nei pubblici esercizi e nei trasporti, che insieme fanno salire la percentuale a quasi il 80%. Sono s0prattutto trasporti e comunicazioni (quasi un lavoratore su due) e alberghi e pubblici esercizi (con il 42% di doppio lavoro) le praterie degli indaffarati. Come si può vedere, si tratta di settori in cui lavoro doppio e nero coincidono più facilmente. Negli alberghi, nei ristoranti e nei bar i dopplolavoristi sono 900 mila (2,1 milioni di posizioni lavorative contro 1,2 milioni di occupati). Nel lavoro domestico in famiglia quasi due terzi degli occupati ha un secondo lavoro e la stessa percentuale del 65% riguarda il lavoro irregolare. Ma se colf e badanti sono protagoniste per necessità, dovendo arrotondare con più datori di lavoro, anche il pubblico impiego non scherza, in considerazione del tempo libero di cui dispone. Nelle costruzioni, poi, la percentuale di doppiolavoristi ufficiali è solo del 13%.

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Questi dati contribuiscono a spiegare in grande parte il fenomeno della crescente diffusione dei voucher. Quando non sono in nero come è pensabile che vengano retribuiti tali lavori?

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Buon Natale e Buon Anno con Paul Eluard: “Fuggiremo il sonno e il riposo/ prenderemo di slancio l’alba e le primavere/ e prepareremo giorni e stagioni/ a misura dei nostri sogni”.

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