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Come l’America discute e si divide sull’hacking alle elezioni presidenziali

Il caso che riguarda le attività di hacking russe attorno alle elezioni americane polarizza il dibattito politico negli Stati Uniti, e – cosa non del tutto comune – arriva all’interesse dell’opinione pubblica. NBC News e il Wall Street Journal hanno fatto insieme un sondaggio che dimostra che il 55 per cento degli americani sono “preoccupati” per le interferenze russe sulle presidenziali: ma anche qui polarizzazione, a dirsi preoccupati sono l’86 per cento dei democratici, mentre solo il 29 dei repubblicani intervistati (altro dato lateralmente collegato: solo il 50 per cento approva le scelte del tranistion team di Donald Trump, quelle cioè che stanno componendo la futura Amministrazione; per confronto con Barack Obama il valore era oltre il 70).

LA RETORICA POLITICA

Intervistato da Fox News l’incoming Chief of Staff della Casa Bianca scelto da Trump, Rience Priebus, ha detto che se le intelligence hanno raggiunto un’indagine conclusiva dimostrante la pianificazione del Cremlino per far vincere i repubblicani, allora dovrebbero redarre un rapporto definitivo e farsi peso di comunicarlo agli americani, perché altrimenti le indiscrezioni che escono via via hanno soltanto un fine politico. Sempre domenica, la senior advisor del presidente eletto (già top manager della campagna), Kellyanne Conway ha detto durante “Face the Nation” della CBS che “rispetta” le decisioni del presidente Obama, ma a questo punto la volontà di acuire il confronto con la Russia dimostrata dal Prez durante i saluti natalizi (gli ultimi) alla stampa la scorsa settimana “è soltanto una risposta politica, perché sembra che il presidente è messo sotto pressione dal team Clinton che non vuole accettare la sconfitta”. Polarizzazione, si diceva: la scorsa settimana il portavoce della Casa Bianca John Earnest ha alzato al massimo i toni sulla vicenda, sostenendo che è evidente che Trump e il suo team fossero consapevoli di cosa stesse accadendo – ossia, sapessero che Mosca stava compiendo azioni hacker e diffondendo dati e informazioni, spesso alterati, per facilitare la vittoria del repubblicano e diffamare, screditare la sfidante Hillary Clinton. John Podesta, il capo della campagna Clinton le cui mail sono finite in pasto agli architetti delle fake news dopo essere state hackerate, ha dichiarato a “Meet the Press” che “l’elezione è stata distorta dall’intervento russo”. (Una delle mail sottratte a Podesta è la base di partenza per l’assurda teoria, completamente falsa, che in una pizzeria di Washington top manager democratici consumavano perversioni pedofile: storie come queste, partite da alterazioni di conversazioni private e rese pubbliche dopo gli hackeraggi, hanno caratterizzato la fase elettorale per mesi, e d’accordo che non saranno l’unico dei motivi per cui è finita come è finita, ma sono state una costante talmente forte che forse hanno fatto da catalizzatori per certi processi di scelta degli elettori).

LE MOSSE DELL’INTELLIGENCE

Questo il clima, con l’attuale amministrazione che alza la posta, appoggia l’operato delle intelligence che ancora sono sotto la propria giurisdizione, e appuntisce il clima di scontro tra la comunità dei servizi e il presidente eletto. Anzi, forse c’è un gioco politico in questo. Il direttore (obamiano) della Cia, John Brennan, ha fatto circolare una lettera ai dipendenti – non era “classificata”, doveva esserla confidenziale, ma è ovviamente finita sulla stampa – in cui annunciava che anche l’Fbi si era allineato sulla posizione dell’agenzia: a dirglielo sarebbe stato il capo del Bureau James Comey, e questa è un’informazione interessante perché nei giorni scorsi, quando la Cia si era fatta portavoce per le analisi condotte da tutte le diciassette agenzie americane, i Federali sembravano un po’ innervositi, perché meno convinti su ragioni, collegamenti, e linee di comando dell’interferenza russa. Venerdì, il giorno successivo al discorso con cui Obama aveva promesso provvedimenti contro la Russia, un alto funzionario dell’amministrazione con accesso ai dati di intelligence aveva rivelato alla CNN che “certo, non c’erano le impronte digitali”, ma i dati raccolti dai servizi faceva presupporre (“Molto più di un’ipotesi a questo punto”) che il presidente russo Vladimir Putin fosse al corrente delle operazioni di hacking che arrivavano da Mosca. Sono stati usati “sistemi sofisticati”, simili a quelli dell’Nsa, e dunque, continua la fonte, è naturale che questo genere di strumenti fosse tra quelli nelle esclusive disponibilità del governo russo; si è spesso parlato che gli hacker di Fancy Bear e Cozy Bear, i gruppi che hanno condotto le azioni contro i democratici americani, fossero in realtà unità parallele al comando delle agenzie dei servizi segreti del Cremlino. Questo genere di accuse in realtà non è nuovo, ma conferma la denuncia ufficiale di inizio ottobre firmata dal Director della National Intelligence (il dimissionario James Clapper, che coordina tutte le agenzie di intelligence americane) e il dipartimento dell’Homeland Security.

IL MESSAGGIO A TRUMP

La CNN ha spiegato che le fonti ragionano per analogia: quando un drone colpisce, Obama sa che sta succedendo, anche se non è direttamente coinvolto in tutti i processi dell’operazione, ne dà comunque autorizzazione: così dev’essere successo per l’attacco hacking. Ma il network all news americano che sta coprendo con costanza la vicenda, spiega anche che si tratta di “valutazioni di intelligence”, valide e ragionate, ma non di prove. Su questo battono i repubblicani per infiammare la polemica politica. Risultato: le intelligence (e i democratici?) alzano la posta, fanno circolare valutazioni preoccupanti – la Russia manipola la democrazia americana, in sintesi – proprio mentre il presidente che il 20 gennaio si insedierà alla Casa Bianca annuncia di voler collaborare di più con Mosca. Sono anche messaggi, bastoni tra le ruote: Obama ai microfoni della National Public Radio ha detto che “non c’è alcuni dubbio che quando qualsiasi governo straniero cerca di influenzare l’integrità delle nostre elezioni abbiamo bisogno di agire, in un momento e luogo di nostra scelta”. La maggioranza delle persone americane è preoccupata di queste ingerenze, e già questo per un presidente che vuole il consenso è un dato da tenere a mente; e la diffusione di informazioni e indiscrezioni su quel coinvolgimento russo è già una delle azioni con cui l’attuale amministrazione può colpire Mosca, rendendo magari più complicato l’avvicinamento di Trump.

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