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Chi spinge (e chi frena) sull’etichetta con l’origine della pasta

La promessa è stata mantenuta. Come raccontato da Formiche.net il governo per salvaguardare un comparto simbolo del made in italy ha varato un decreto legislativo per rendere obbligatoria in etichetta la tracciabilità dei prodotti che vengono usati per produrre il pane, la pasta e i prodotti da forno. Il provvedimento è adesso al vaglio della Commissione Europea per vedere se è in linea con il regolamento comunitario 1169/2011 che già disciplina le informazioni sugli alimenti ai consumatori con le disposizioni in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità comprese quelle sull’etichettatura nutrizionale. Il decreto inviato a Bruxelles in particolare prevede l’obbligo per le confezioni di pasta secca prodotte in Italia di indicare in etichetta il nome del paese nel quale il grano viene coltivato e il nome del paese in cui il grano è stato macinato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più paesi si può utilizzare le seguenti diciture: paesi UE, paesi NON UE, paesi UE E NON UE. Se invece il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo paese, ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”. Queste indicazioni sull’origine sono apposte in etichetta “in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed indelebili”.

Per i ministri Carlo Calenda (Sviluppo Economico) e Maurizio Martina (Agricoltura) il provvedimento risponde innanzitutto “ad una crescente esigenza di trasparenza e informazione verso il consumatore e consentirà di fare maggiore chiarezza sull’origine del grano e delle semole che caratterizzano la qualità della pasta Made in Italy, nell’ottica di rafforzare la filiera produttiva e competere con la concorrenza straniera”. Una posizione condivisa dalla Coldiretti, non a caso il suo presidente, Roberto Moncalvo si è molto speso per la misura richiesta da diversi anni e servirà “per smascherare l’inganno del prodotto estero spacciato per italiano, in una situazione in cui un pacco di pasta su tre contiene grano straniero senza che i consumatori possano saperlo”.

Tutto bene, quindi? Non esattamente. Se il provvedimento fa felici consumatori, almeno per la trasparenza, e produttori che sono stati vittime questo anno di una forte speculazione del prezzo sulle materie prime, a storcere il naso sono i pastai che attraverso la loro associazione Aidepi sostengono che ”la formula scelta dal governo non ha alcun valore aggiunto per il consumatore”. Contattati da Formiche.net dicono chiaramente che “non hanno nulla da nascondere” e che i grandi gruppi, tipo Barilla che ha appena investito nella filiera del grano italiano 240 milioni di euro rinnovando i contratti di coltivazione per tre anni, in definitiva hanno bisogno del grano importato dall’estero per fare un’ottima pasta.  Un loro recente dossier ricorda che esiste un deficit strutturale di circa 2 milioni di tonnellate di grano duro che rende necessario il ricorso all’importazione non essendo sufficiente la produzione nazionale. Senza grano straniero gli italiani dovrebbero tagliare i consumi di pasta del 30-40%.

Insomma, i pastai non sono di principio contrari all’etichettatura, ma è pur vero che l’Italia ha da sempre importato materia prima dall’estero, perché quantitativamente e qualitativamente questo è sempre stato  necessario: le immagini dei velieri sulle confezioni di pasta – dicono i pastai – lo testimoniano. Il grano è selezionato in base alla qualità necessaria alla pastificazione e il consumatore non deve essere portato a pensare che il grano che viene importato è di qualità più scadente. Come ci ricorda il loro presidente, Riccardo Felicetti (nella foto), “noi pastai italiani siamo da sempre a favore della trasparenza nei confronti del consumatore. Produciamo pasta con le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità italiani ed esteri. Comunicarlo è una scelta all’insegna della trasparenza nei confronti del consumatore che, in questo modo, potrà verificare come dietro la qualità della pasta italiana a volte ci sono ottimi grani duri nazionali, altre volte eccellenti grani duri stranieri.”

Certo c’è da tutelare comunque la nostra filiera del grano che ha numeri importanti, con un valore della produzione che supera i 4,6 miliardi di euro ed un valore dell’export che si aggira sui 2 miliardi di euro. In particolare il nostro Paese produce circa 4 milioni di tonnellate di grano duro ed è il principale produttore mondiale di pasta con 3,4 milioni di tonnellate. Siamo secondi solo al Canada con 300mila aziende su un totale di 2 milioni di ettari. Anche se molte realtà purtroppo sono scomparse negli ultimi anni a causa della crisi economica. Per questo un’etichetta ispirata ai principi della trasparenza non dovrebbe far male a nessuno se non a chi spaccia “per integralmente italiano” un prodotto che poi non lo è o lo è solo in parte.

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