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Ecco i piani della Russia in Siria. Parla Shady Hamadi

crisi siriana

“Ricordiamo che l’accordo per il cessate il fuoco ad Aleppo è stato mediato dai russi e dai turchi, che improvvisamente si ritrovano sullo stesso fronte dopo il vertice di Mosca. Ciò significa che quello che succede in Siria non è più in mano ai siriani”. Lo dice in una conversazione con Formiche.net sull’evacuazione di Aleppo est lo scrittore Shady Hamadi, attivista per la causa siriana a cui fino al 1998 è stato vietato di entrare in Siria (lui è nato in Italia, a Milano, ma il divieto gli è stato imposto dopo l’esilio del papà siriano), blogger del Corriere e del Fatto e autore del libro “Esilio dalla Siria”(Add editore).

Pare che Putin voglia tirare dritto in Siria.Si sta andando verso un asse russo-turco-iraniano in Siria?
Il ministro degli Esteri russo Lavrov l’ha chiamata la Troika, l’asse che in Medio Oriente può ristabilire la pace. Il problema è quale pace, e se a discapito della rivendicazione autentica dei siriani fatta nel 2011, di maggiore libertà dopo la dittatura. L’opposizione è stata infiltrata dal radicalismo e oggi si deve destreggiare tra fondamentalismo e regime, assieme a una società civile, quella siriana, che non riesce nemmeno a essere riconosciuta dall’Occidente. In questo modo noi stiamo assegnando alla Russia un ruolo di preponderanza in Medio Oriente, e nel 2017 ci troveremo l’intera area “russeggiata”. Lo vediamo già in Libia, dove Putin ha stretto accordi con Haftar per creare una base navale gemellata con quella di Tartus, così che ci troviamo due porti russi sul mediterraneo. A discapito e sulla pelle degli arabi, che nel 2010 e 2011 hanno chiesto tutt’altro.

Al vertice i veri assenti erano Europa e Stati Uniti. Cosa cambierà con Trump?
Trump ha detto chiaramente che vede in Putin un alleato naturale e che la loro visione è vicina. Là dove c’è un ritiro da parte degli americani in Medio Oriente, come è stato nell’era di Obama, ovviamente a riempire questo vuoto arriva l’altra super potenza, la Russia, e noi dobbiamo guardare al fatto che non cercheranno diplomazia ma interverranno mettendo i piedi a terra, come già accade sia in Siria che in Iraq con forze locali o consiglieri. Se l’Europa non sarà capace di agire con la diplomazia andremo incontro al crescere del fondamentalismo, e le macerie di Aleppo rappresentano un simbolo per il malessere degli arabi. Per questo oggi più che mai l’Europa deve scegliere di avere un ruolo nel mediterraneo, per permettere che la sponda sud trovi una sua armonia: non credo che mettere in sella nuovamente autocrati, da Al Sisi ad Assad, sia la scelta migliore. Già lo stanno facendo i russi e ne pagheremo il prezzo.

Il disastro siriano è realmente la prima causa del terrorismo in Occidente, come urlato dall’attentatore di Ankara?
Certamente il disastro tra Mosul e Aleppo è la carta simbolica, e concreta, che viene adoperata per fare proselitismo. Il fondamentalismo è l’arma dei disperati, di chi sa già di aver perso perché ha di fronte una potenza, e che è incapace di risposta. Ma c’è il disagio dei musulmani, dei sunniti nel Medio Oriente, marginalizzati. In Iraq, nel fronte dei liberatori di Mosul ci sono le forze sciite, appoggiate dall’Iran e anche dalla Russia, che dicono di portare libertà, ma a discapito dei sunniti che vengono così visti come fiancheggiatori dell’Isis, creando ancora più scontri. Perciò dobbiamo risolvere questa tensione, perché non saranno le bombe dei russi a farlo. Faccio un esempio. Mentre accadevano i fatti di Ankara, a Tripoli in Libano si festeggiava, e dicevano: finalmente qualcuno ha fatto giustizia per ciò che paghiamo ad Aleppo. Se non riusciamo a vedere questa complessità non porremo mai fine al terrore: è con questo disagio che dobbiamo fare i conti, che si annida anche all’interno delle società europee. E dobbiamo cercare assolutamente la convivenza tra l’islam e il cristianesimo, senza arroccarci dietro ai muri di una paura ipocrita. Che purtroppo c’è stata e continuerà ad esserci, è la storia che ce lo dice.

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