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Ecco a che punto è lo scontro in Siria

Nel momento in cui scriviamo, gran parte di Aleppo Sud è stata ormai liberata dall’Esercito arabo siriano di Bashar Al-Assad. Jaish Al-Fatah, che collabora con al Al-Nusra, la “sezione” siriana di Al-Qaeda, è stato ormai estromesso dai distretti meridionali di Aleppo e da gran parte delle periferie di quella città. Ma continua a tenere Idlib. Jaish Al-Fatah è, peraltro, un’organizzazione “ombrello” di jihadisti che lotta contro gli sciiti ma non necessariamente contro l’Isis.

Sempre l’Eas di Assad ha liberato del tutto ben sedici sobborghi di Aleppo, mentre le forze antijihadiste attaccano ancora alcuni distretti, tra i quali Karam al-Tarab e Amiriyah per mettere definitivamente in sicurezza Aleppo e, da lì, avanzare in direzione di Idlib, tenuta ancora dai jihadisti.

Naturalmente, le Forze di Bashar Al-Assad devono anche contrastare duramente l’espansione dei militari turchi che si muovono nel Nord della Siria. Le Forze Aerospaziali Russe continuano poi i loro bombardamenti nella provincia di Hama. E, infine, l’Esercito siriano di Assad combatte contro l’Isis nella zona est dell’area di Homs. Ecco, questo è un primo quadro della situazione di questi giorni. Ma alcuni militanti pro-turchi, sostenuti dall’esercito di Ankara, hanno attaccato i curdi dell’Ypg e l’Eas nel villaggio di Azrak, vicino alla zona di Aleppo. Turchi e membri dell’Ypg curdo si sono scontrati anche a Sheik Nazir, Qert Weran, Oshali. I turchi, insomma, continuano a creare fasce di protezione in favore anche dell’Isis, che può utilizzare il fianco turco per coprirsi dall’Eas e dai curdi dell’Ypg.

Questo è, in sostanza, il quadro militare turco, curdo e jihadista dell’area della grande Siria.
Ma, è bene ricordarlo, Putin ha approvato, il primo dicembre scorso la nuova dottrina strategica della Russia. Questo cambia molte cose.
Vediamo cosa dice: Mosca non accetta un’espansione a Est della Nato, sostiene gli accordi per una riduzione bilanciata degli armamenti e non accetta nel modo più assoluto il “global missile defense system” che gli americani dovrebbero perfezionare entro il 2020. Insomma, si tratta di una dottrina che ha un obiettivo: rendere progressivamente multipolare l’equilibrio strategico globale. Mosca, peraltro, non accetta nessun tentativo di pressione da parte degli Usa e si riserva di rispondere militarmente ad azioni militari ritenute non amichevoli.
Per la Siria, infine, l’obiettivo della Russia è quello di costituire una vasta coalizione internazionale, da definire in ambito Onu. Alla base di questa coalizione dovrebbe esserci la lotta esplicita contro il jihad e l’accettazione, da parte di tutti, di una Siria unita, indipendente e integra.

La parte, molto importante, sulla politica dei media la studieremo a parte, in un prossimo documento.

Quindi, sul terreno militare siriano, successi dell’Eas e dei suoi alleati russi e iraniani ad Aleppo Nord, mentre gli aerei di Mosca bombardano le retrovie dell’Isis e ne hanno ridotto grandemente la massa operativa e i materiali. Se quindi le forze aeree russe continueranno a condurre le loro operazioni, l’Eas di Bashar Al-Assad potrà premere vittoriosamente su Idlib a nord e su Raqqa ad est.

Dopo la rottura del fronte jihadista nel nord-est della sacca di Aleppo, le difese dei “ribelli” moderati, come li chiamano gli americani, dovrebbero cadere a breve.
Malgrado le numerose azioni dei turchi, le risposte aeree dei siriani sostenuti dai russi non hanno però permesso ad Ankara di realizzare il suo vero obiettivo in Siria, ovvero la creazione di una enclave turca tra Raqqa, Manbij e al Bab; naturalmente in funzione antiturca. Una postazione che gli analisti europei ritengono, lo vedremo in seguito, “irrilevante”. E, tra poco, sarà eliminata la sacca jihadista nel Ghouta occidentale, la vecchia oasi vicino alla quale fu fondata Damasco, area dalla quale molti jihadisti partiranno come “profughi” verso la puerile Europa.

E ora, dato politico e strategico fondamentale, entrano nel quadrante siriano le forze egiziane. Il motivo è semplice: Al-Sisi ritiene, giustamente, che ogni affermazione jihadista in Siria sia una minaccia vitale per l’Egitto. Gli Usa sostengono da sempre la Fratellanza, basta leggere il dettagliatissimo volume di Ian Johnson, A Mosque in Munich del 2010. L’altra e unica alternativa, per Al-Sisi, era quella di rivolgersi alla Russia. Splendida , nella sua inanità, la strategia degli Usa di trattare con il fondamentalismo islamico e di abbandonare di fatto la storica amicizia con gli stati del Maghreb e con l’Iraq, paese “liberato” pochi anni fa.
Ora, quindi, l’Egitto si inserisce nel quadrante siriano, dalla parte dei russi e dell’alleanza di Bashar Al-Assad con l’Iran, un paradosso religioso infraislamico che ha una sua perfetta logicità strategica.

Sottolineare troppo le differenze di religione nell’Islam ci fa dimenticare l’estrema praticità, per non dire il cinismo, delle élites politiche arabe e islamiche.
Qualche settimana fa una delegazione egiziana di alto livello era arrivata in Siria per discutere delle operazioni che le forze egiziane dovrebbero compiere sotto il comando russo e siriano. Alcune fonti sostengono che elicotteri e aerei egiziani siano già dislocati presso la base di Hama. E l’Egitto, lo ricordiamo, ha un accesso autonomo via mare alla Siria. Le due “Mistral” che la Francia aveva costruito per la Russia e che non le ha potuto vendere, sono state poi vendute all’Egitto. Saranno queste due navi, non vendute alla Russia dato il regime restrittivo attuale degli scambi con Mosca che, ironia della sorte, andranno a combattere in Siria a favore della Russia e di Assad, grazie all’idiozia europea e all’incapacità di tutta l’Europa di pensare strategicamente. Ognuna delle due fregate francesi da “proiezione e comando” può ospitare un battaglione di 900 uomini con tutte le loro attrezzature. Si verrebbe quindi a costituire una situazione in cui una brigata, protetta dalla forza aerea russa, è del tutto autonoma e può operare liberamente sul territorio siriano, essendo peraltro dotata di elicotteri d’assalto, sempre russi. Le forze egiziane, quindi, sarebbero il vero “game changer” della guerra siriana, perché anche le brigate di Hezbollah e i “volontari” iraniani hanno bisogno del supporto e della logistica siriana. Gli egiziani possono quindi svolgere da soli le loro operazioni in Siria, coordinandosi con i russi e le forze di Bashar Al-Assad.

Sul piano numerico, le cose per gli iraniani in Siria stanno così: 4000 iracheni e 4000 sciiti inviati direttamente dalla repubblica sciita, coordinati da 400 operativi dei Pasdaran di Teheran.
Hezbollah ha poi inviato dal Libano 2000 elementi delle loro forze speciali, unità “Ridwan”.
In questa particolare contabilità, i 4000 militari egiziani rappresenterebbero un notevolissimo aumento di efficacia militare e operativa. Naturalmente, l’Egitto non potrebbe essere impedito da alcuno dalla partecipazione alla guerra siriana, dato che forze e uomini passano dal canale di Suez. Il che rappresenta un vero e proprio ricatto anche per i Paesi che finanziano e sostengono il jihad, dato che il loro petrolio passa pur sempre dalla linea d’acqua egiziana.
Questa nuova composizione delle forze antijihadiste permetterebbe quindi un rapido e possente attacco su Raqqa, che sarebbe definitivo e chiuderebbe i giochi in Siria, salvo qualche “scampolo” di jihad a sud. Inoltre, Trump non ha più nessuna intenzione di sostenere i jihadisti “buoni” e “moderati” e quindi il gioco della Turchia e dei sauditi potrebbe finire ben presto. E’ finita l’era Obama, che puntava unicamente all’eliminazione di Assad e non riteneva una minaccia reale il jihad, che peraltro, stranamente, operava sempre più spesso con armi “made in Usa”.

L’Ue, poi, ha pubblicato un nuovo documento sul quadrante siriano, dal titolo “il primo test di Trump: la politica europea e l’assedio di Aleppo”.
Purtroppo, dicono gli analisti dell’Unione europea, il presidente Assad è ancora lì, e quindi non è possibile non accettare la sua presenza politica.
Allora, per gli analisti dell’Unione, occorre digerire l’amara pillola di accettare Assad ancora al potere, come se loro potessero mandarlo via da li, figuriamoci. E come se il jihad fosse una operazione irrilevante.

Infine, se la Turchia rimane interessata al suo corridoio settentrionale, per contrastare i curdi, dice sempre l’Ue, non dovrebbe dare più moti fastidi per mettere in piedi una vaga, roboante, inesistente “transizione”, che dovrebbe essere gestita dalle mosche cocchiere europee. Ma la Turchia, lo sappiamo bene, vuole il suo corridoio per innescare una seconda lotta contro i curdi e Assad, il che non è poi un fatto così innocuo come lo disegna la strategia dell’Unione europea. Chi vince non va al tavolo delle trattative, che serve ai perdenti per ridurre i danni.
Quindi non si capisce bene chi dovrebbe partecipare alla “transizione” diretta, ohimè, dagli europei.
Allora, in finale, gli estensori della analisi dell’Unione europea ritengono che, proprio oggi, l’Europa debba riprendere la politica siriana di Obama: fare qualsiasi brutto accordo per poi far cessare le violenze e aiutare il popolo siriano.
Bene, ma i brutti accordi peggiorano la situazione e poi, come la mettiamo con i jihadisti: sono loro i colpevoli del disastro siriano o lo sono invece i russi e il “tiranno” Assad?
Sembra che l’UE non faccia ancora i conti con la guerra santa che, peraltro, non starà certo a sentire le richieste “umanitarie” di Bruxelles.
Ennesima prova di inanità europea, mentre, dice Putin, basterebbe togliere per tre mesi gli aiuti europei a Erdogan che il suo regime crollerebbe.
Certamente l’Unione europea non farà niente di tutto questo. Non farà.

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