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Io, Allah e Gesù. La testimonianza di Mohamed Darrat

Camminare a Roma lungo corso Trieste e affacciarsi al palazzo che dà su piazza Istria, l’unico col Tricolore sempre esposto sul pennone condominiale, significa imbattersi in un quarantasettenne educato che veste in giacca, cravatta e fazzoletto nel taschino. “Prego, sono il portiere dello stabile, dica a me”, si presenta al visitatore di turno Mohamed Darrat, libico e musulmano osservante. Ma per tutti è “Mimmo”, come si fa chiamare nel quartiere, dove lavora da nove anni dei quattordici da quando è arrivato in Italia. Mohamed detto Mimmo è laureato in economia e commercio e viene da Bengasi. Prega cinque volte al giorno, fa il Ramadan, va in moschea, ha il Corano sul tavolo e la voce del muezzin che “chiama per pregare” come suoneria del telefonino.

Ebbene, quest’uomo dall’incrollabile fede musulmana ha deciso di costruire con le sue mani, e senza che nessuno glielo chiedesse, un meraviglioso presepe usando cartone, legno e piccole strutture in ferro. Ha così dato grazia a sei pastorelli che si muovono. E a quattro fontanine da cui scorre acqua vera. E al bambino Gesù, che Mohamed ha messo nella grotta la notte del 24. Un’opera che funziona grazie alla quarantina di attacchi di corrente elettrica da lui predisposti per mettere in azione motori e pompe d’acqua. Per creare il gioco fra luci e ombre. Per dare al Natale quel senso d’amore e di mistero che questo presepe trasmette da quando se n’è sparsa la voce: la gente dei vicini palazzi viene apposta per ammirarlo.

Ma perché mai Mohamed ha scelto di fare il presepe e mostrarlo dalla finestra della portineria, mentre non mancano i soliti episodi di italiani e cattolici che rinunciano a evocare il Natale e i suoi canti, perfino nelle scuole, per “non turbare” la sensibilità di chi non è cristiano? Lui risponde così: “Io sono musulmano e per me la storia del presepe non conta. Ma so che conta molto per voi. Come il Ramadan, che per me è importante, ma per voi no. Il senso della vita è il rispetto. Quando abitavo a Bengasi, vicino a casa mia c’era una chiesa cattolica. Vedevo passare le suore. Nella mia terra provavo lo stesso sentimento che provo ora in Italia: vivere insieme, rispettando ciascuno le tradizioni degli altri”. È il quinto anno che Mohamed crea presepi, e sempre diversi. Ma la tragedia del 13 novembre 2015 a Parigi gli ha dato una motivazione definitiva. “Quella strage mi ha lasciato senza parole”, racconta. “Con la mia ragazza, che è cristiana, progettavamo un viaggio in Francia. Al Bataclan potevamo esserci anche noi. Orribile. E ora l’attentato a Berlino. Ma in nessuna parte del Corano c’è scritto: vai e uccidi”.

Il portiere ripensa alla sua Libia, “dove non si capisce più niente, ma quando posso ci torno, perché è il mio Paese”. Presto lo sarà anche l’Italia, perché Mohamed ha avviato le pratiche per la cittadinanza. Così diventerà quel che è già: Mimmo pure per l’anagrafe. “La cosa più bella di qui? La gente. Se gli italiani si fidano di te, ti danno il cuore. A volte io mi sento un vostro figlio”. Ad avvicinarlo alla vita italiana furono le canzoni di Ramazzotti e della Pausini e il Milan, “da Bengasi seguivo tutto”. A Roma tanti lavori occasionali, nonostante la laurea. Da cuoco a portiere di condominio, da Mohamed a Mimmo, con la salda fede in Allah e il rispetto esemplare per Gesù.

(Articolo Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)
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