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Come combattere il terrorismo secondo Papa Francesco

AGOSTINO VALLINI CARDINALE PAPA FRANCESCO JORGE MARIO BERGOGLIO

“Chiedo al Signore di sostenere tutti gli uomini di buona volontà che si rimboccano coraggiosamente le maniche per affrontare la piaga del terrorismo e questa macchia di sangue che avvolge il mondo con un’ombra di paura e di smarrimento”, ha detto il Papa il 1 gennaio all’Angelus in riferimento all’attentato di Istanbul. Rimboccarsi le maniche, ma come? Richiamando il tema della Giornata mondiale della pace che si celebra da cinquant’anni a Capodanno, Francesco ha ricordato il suo Messaggio per il 2017, proponendo di “assumere la nonviolenza come stile per una politica di pace”. Per Luigi Accattoli, si tratta di “una svolta per l’atteggiamento della Chiesa Cattolica sul controverso tema della nonviolenza. Con esso Francesco ha posto fine alle titubanze dei predecessori e si è schierato senza timori e senza distinguo con i non violenti”.

I PRECEDENTI

Riconosce il vaticanista del Corriere della Sera: “Di nonviolenza avevano parlato più volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: mai tuttavia prima di oggi un Papa aveva invitato la Chiesa e l’intera umanità a fare della non violenza attiva e creativa uno stile di vita”. Tanto da citare nel suo Messaggio anche delle figure di testimoni come Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan, Martin Luther King, Leymah Gboweee e Madre Teresa. A ricordare i precedenti, è lo stesso Francesco. Cita Wojtyla quando evidenziava come un cambiamento epocale nella vita dei popoli si realizza “mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia”. Quindi Ratzinger, che commentando l’evangelico “amate i vostri nemici”, parlava esplicitamente di “magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male ma nel rispondere al male con il bene”.

UN SINODO O UN’ENCICLICA SULLA NONVIOLENZA

L’accento posto sulla nonviolenza da Francesco probabilmente comporta revisioni importanti: del Catechismo e del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Un lavoro che impegnerà i primi passi del neonato Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale che proprio ieri ha fatto il suo debutto. Il presidente, il cardinale Peter Turkson, presentando il Messaggio del Papa per la Giornata della pace 2017, a metà dicembre aveva confermato che occorre “ancora approfondire i concetti di ‘guerra giusta’ e ‘pace giusta’, e che il tema della nonviolenza può diventare lo spunto per lo sviluppo di una nuova enciclica: “E’ un desiderio espresso dal Santo Padre”. “Forse – aggiungeva – ancora prima dell’enciclica sarebbe opportuno fare un Sinodo”.

PAX CHRISTI IN CAMPO

Organizzato da Pax Christi e dall’ormai abolito pontificio Consiglio della giustizia e della pace (da ieri confluito nel nuovo Dicastero presieduto da Turkson), si era svolta in aprile in Vaticano una tre giorni sulla nonviolenza. La conferenza si è chiusa con un documento in cui si contesta l’insegnamento sulla teoria della guerra giusta: “Non c’è una guerra giusta”, questo concetto “troppo spesso è stato utilizzato per appoggiare la guerra, piuttosto che per evitarla o limitarla”. Il solo evocare che “una guerra giusta è possibile mina l’imperativo morale a sviluppare strumenti e capacità per trasformazioni non violente del conflitto”. Quindi si chiedeva al Papa “una lettera enciclica o qualche altro documento importante” per ri-orientare gli insegnamenti della Chiesa sulla violenza. Per ora è arrivato il messaggio per la Giornata della pace incentrato su questo. Ma la revisione è tutto un cantiere.

COSA DICE IL CATECHISMO

Il Catechismo, pubblicato nel 1997, delinea quattro condizioni “che giustificano una legittima difesa con la forza militare”. Quindi la guerra giusta. Occorre contemporaneamente: che il danno causato dall’aggressione sia durevole, grave e certo; che la risposta sia una extrema ratio; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. E “nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione”.

FRANCESCO ALLA GUERRA DELLA PACE

Nel suo messaggio alla Conferenza di aprile di Pax Christi, il Papa ricordava che “l’unica condanna espressa dal Concilio Vaticano II fu proprio quella della guerra, pur nella consapevolezza che, non essendo questa estirpata dalla condizione umana, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa”. Il 15 dicembre scorso, ricevendo alcuni ambasciatori, si è però spinto oltre, chiedendo “una scelta della nonviolenza come stile di vita”. “Si tratta in ogni circostanza – spiegava ai rappresentanti delle cancellerie – di respingere la violenza come metodo di risoluzione dei conflitti e di affrontarli invece sempre mediante il dialogo e la trattativa”.

INGERENZA UMANITARIA

Di intervento umanitario e guerra giusta, di fatto Bergoglio aveva parlato sul volo di ritorno dal viaggio in Corea nel 2014. Alla richiesta di un giudizio sui bombardamenti Usa dei terroristi in Iraq, Francesco rispose: “In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati”. Diceva Giovanni Paolo II nel 1994 riferendosi al conflitto in Jugoslavia: “La Sede Apostolica non cessa di ricordare il principio dell’intervento umanitario. Non in primo luogo un intervento di tipo militare, ma ogni tipo di azione che miri a un disarmo dell’aggressore”. Già nel ’92, per interrompere la macelleria nei Balcani, la sua Segreteria di Stato invocava chiaramente il “dovere e il diritto di ingerenza (di Europa e Onu, ndr) per disarmare chi vuole uccidere”. Sul diritto a difendersi dal terrorismo Giovanni Paolo II era tornato nel 2002. E il Compendio della dottrina sociale della Chiesa del 2006, riprendendo un altro intervento di Wojtyla, precisa: “È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici”. Fino a qui, quindi, nessuna differenza con le parole di Francesco.

COME CONCILIARE GIUSTIZIA E PACE

Aprendo i lavori della Conferenza di Pax Christi, lo stesso cardinal Turkson precisava: “La Chiesa non può predicare i precetti del Discorso della montagna nel vuoto”. E’ il discorso delle Beatitudini, quindi della sete di giustizia e degli operatori di pace. “Per essere una norma sufficiente per l’azione politica – aggiungeva – c’è bisogno che sia praticata con la considerazione per le circostanze attuali e per il bene da raggiungere, che include il dovere di assistere coloro i cui diritti sono stati violati”.

SFIDA PER LA DIPLOMAZIA

Al netto di possibili, future revisioni dottrinali, il dilemma tra uso della forza e nonviolenza rimane, e andrà declinato volta per volta. Anche dal Vaticano. Come diceva nel 2015 il segretario di Stato, Pietro Parolin:La Santa Sede afferma la legittimità di fermare l’ingiusto aggressore. Poi, sulle modalità, è la comunità internazionale che deve trovarsi d’accordo e trovare le forme per farlo”. Più Nazioni Unite che Nato, è l’auspicio. Lo evidenzia don Renato Sacco, coordinatore in Italia di Pax Christi: “Un intervento (armato, ndr), al limite, deve essere portato avanti da una autorità internazionale, legittima, come avviene quando si chiama la polizia nelle nostre città. Il problema è che l’Onu viene sistematicamente screditata a vantaggio della Nato, che è l’espressione di alcuni Stati contro altri e non rappresenta per niente la comunità internazionale”.

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