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Minniti, i Cie e le norme incerte su migranti e profughi

Marco Minniti

Giorni fa, avevamo proposto di ricorrere all’istituto del “confino” per quegli immigrati destinati ad essere rimpatriati, perché non in possesso dei necessari requisiti. A maggior ragione per coloro che si erano macchiati di qualche reato, come nel caso di Anis Amri: il terrorista della strage di Berlino. Lasciato circolare indisturbato, in attesa che la Tunisia fornisse il “lascia passare” alla richiesta di rimpatrio da parte del governo italiano. Le recenti decisioni del ministro Marco Minniti, sembra ne abbiano recepito la sostanza, seppure in forma diversa. La realizzazione, su base regionale, dei “Centri di identificazione ed espulsione” si muove sulla stessa lunghezza d’onda. Vedremo se quella che, al momento, è solo una proposta sarà anche sufficiente.

Molti, naturalmente, i mal di pancia da parte di qualche anima bella della sinistra e dintorni. Come quelli del senatore Manconi che su il Manifesto non esista a bollare i Cie, “come un autentico fallimento”. Che può essere anche vero. Ma qual è l’alternativa? Mettere il sale sulla coda su ogni migrante? Organizzare una vigilanza complessa con l’impiego di centinaia di uomini per ciascun immigrato rimesso in libertà, con al collo l’inutile decreto d’espulsione? Come spesso capita: il meglio è nemico del bene. Non basta dire ci vuole più intelligence, quando i numeri sono quelli che sono: 181 mila migranti solo nell’anno appena trascorso. Purtroppo siamo di fronte ad un gioco a somma negativa. Qualcuno deve rimetterci. Giusta quindi la preoccupazione della Cei, la conferenza episcopale italiana. Ma che dire delle conseguenze sociali e politiche che quel flusso ininterrotto determina nei Paesi di frontiera?

Per la Lega nord la ricetta è quella solita: espulsioni in massa. “Fare i campi di prima accoglienza – come dice Luca Zaia – gestiti dalla comunità internazionale nei paesi del Nord Africa”. Proposta più che ragionevole, se questo fosse il sentiment di una Comunità internazionale che, invece, preferisce volgere altrove lo sguardo e lasciare il cerino in mano ai Paesi più esposti. Stessa soluzione miracolistica per Beppe Grillo: “é necessario identificare chi arriva in Italia, scovare i falsi profughi, espellere rapidamente gli immigrati nel giro di qualche giorno (sic!), senza parcheggiarli in inutili Cie spesso gestiti dalle mafie”. Elementare Watson: basta chiedere loro il passaporto e il necessario “visto d’ingresso”.

Ci vorrebbe un po’ di serietà nell’affrontare un problema drammaticamente serio. Merce rara in un Paese, come il nostro, dove dominano demagogia e furbizia. Nei mesi passati abbiamo colpevolmente ritenuto che bastasse chiudere un occhio. Chi arrivava nel nostro Paese era considerato in transito: pronto a spostarsi verso le capitali del Nord Europa. Meglio allora non fare nulla. Perché spaccarsi la testa nell’inutile tentativo di identificare paesi di provenienza dagli incerti confini? Hic sunt leones: come dicevano gli antichi romani nel tracciare le mappe Centro Africa. Paesi che, dal punto di vista dei possibili accertamenti postumi di nazionalità, sono rimasti tali. Ed allora era meglio lasciare ad altri – la Francia, l’Austria, la Germania e via dicendo – questa impossibile incombenza.

E’ finita come era inevitabile che finisse. Con i controlli alla frontiera, i muri elevati, il respingimento dei migranti verso l’unico Paese dal quale non possono essere ulteriormente allontanati: perché circondato dal mare. Quella furbizia iniziale è costata cara. Le relazione tra l’Italia ed il resto dell’Europa si sono inevitabilmente deteriorate. Nessuna accusa specifica. Non fa parte del bon ton delle regole internazionali. Ma da allora una resistenza sorda che ha ucciso nella culla ogni sentimento di solidarietà. E senza quel minimo comune denominatore la stessa Europa è destinata a regredire. E forse scomparire. Non sembri esagerato: su Brexit, il mancato controllo dei flussi immigratori, nella spirale che da Lampedusa arriva fino a Londra, o che, in precedenza, passava per la Grecia, è stato uno degli elementi determinanti l’esito finale. Può essere solo un episodio, ma anche l’inizio di un domino dagli effetti devastanti.

Ecco perché siamo d’accordo con Marco Minniti. Non sarà la soluzione, ma è una soluzione. Marca una differenza con il passato. Cerca di far fronte con realismo alle mille contraddizioni che segnano questa nostra epoca. L’Italia non è in grado di reggere alla pressione di una marea montante. Può solo tentare di arginarla utilizzando al massimo gli strumenti della diplomazia internazionale. I quali, tuttavia, richiedono come requisito indispensabile quello della credibilità. Quindi fare tutto ciò che si può fare per evitare che le maglie della rete siano talmente larghe da garantire il “liberi tutti”.

Tutto bene, allora? Purtroppo non è così. Il quadro legislativo è tutt’altro che solido. L’articolo 12 della legge 40 del 1998, che regola la materia, la cosiddetta legge Turco-Napolitano, stabilisce che lo straniero nel “centro di permanenza temporaneo”, poi divenuto Cie, può essere solo “trattenuto”. Non è quindi un “detenuto”, ma solo un soggetto sottoposto a domicilio coatto. Tant’è che il successivo decreto legislativo 286/1998 (articolo 14) consente al questore di adottare ogni “misura di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro”. Per ripristinare “senza ritardo la misura nel caso questa venga violata”. Sennonché questa sorta di “confino” non può durare più di venti giorni, con un’eventuale proroga di altri dieci (comma 5). Un periodo del tutto incongruo rispetto alla lentezza delle procedure di estradizione.

Ed allora che succede? Trascorso il periodo previsto, l’immigrato non può essere trattenuto ulteriormente, ma nemmeno essere rimesso in libertà. L’articolo 235 del codice penale stabilisce, infatti, che “il trasgressore dell’ordine d’espulsione pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. Come si vede: un evidente corto circuito. Un pazzesco ginepraio in cui non è facile orientarsi né per il migrante sottoposto a procedura d’espulsione né per gli Organi chiamati a vigilare. Secondo norme emanate quasi vent’anni fa. Quando il fenomeno non aveva certo l’intensità e la drammaticità che tutti conosciamo.

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