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Ecco tutte le turbolenze in Alitalia fra Etihad, Intesa Sanpaolo e Unicredit

Di Michele Arnese e Fernando Pineda

È anche una lotta fra soci quella che si cela in Alitalia. Da una parte c’è l’amministratore delegato Cramer Ball e tutta la cordata emiratina di Etihad, dall’altra il presidente Luca Cordero di Montezemolo con dietro gli azionisti italiani con in prima fila i due principali istituti di credito Unicredit e Intesa Sanpaolo. I secondi – che pur avendo il 51%  della compagnia hanno lasciato ai primi la guida aziendale – contestano i pessimi risultati di gestione di due anni della nuova Alitalia.

PRESI PER IL COLLO?

Facciamo un passo indietro. Dopo una lunga e estenuante due diligence nel 2014 la compagnia di Abu Dhabi decide di investire in Alitalia. Il presidente e amministratore delegato James Hogan persegue la sua strategia di costruire una rete di compagnie aeree dove investire e indirettamente controllare. Il manager australiano ha già investito nella tedesca Airberlin, nell’indiana Jet Airways, nell’Air Serbia (ex Jat) e nell’Air Seychelles (ci sarebbe anche Virgin Australia, ma a casa sua Hogan esercita un ruolo marginale, per via della presenza nell’azionariato anche delle compagnie Singapore Airlines, HNA e Air New Zealand – annual report, pag 101). Una strategia che ricorda molto il triste epilogo di Swissair. Hogan pone all’amministratore delegato Gabriele Del Torchio e al governo – Enrico Letta prima e Matteo Renzi poi – delle condizioni molto dure per investire e evitare così il nuovo fallimento dell’ex compagnia di bandiera. Le più importanti: riduzione di personale, ricapitalizzazione con ingresso del nuovo azionista Poste Italiane e conversione dei debiti in capitale da parte delle banche (Intesa, Unicredit, MPS e Banca popolare di Sondrio), che così diventano i principali azionisti della holding Cai riducendo a ruolo marginale i vecchi capitani coraggiosi della cordata messa in piedi da Berlusconi nel 2008: Immsi di Roberto Colaninno, Atlantia della famiglia Benetton, Pirelli, Marcegaglia, Riva e altri. In cambio promettono di portare in utile la compagnia nel 2017.

CASSANO CHI?

La nuova Alitalia a guida emiratina prende tutti i ruoli chiave nell’azienda. Hogan sceglie il suo consulente Silvano Cassano come amministratore delegato (già amministratore delegato in passato del gruppo Benetton, con cui non si lasciò molto bene, e di Grandi Navi Veloci), a capo delle strategie vuole il suo connazionale John Shepley, a supervisionare la cassa lo scozzese Duncan Naysmith, responsabile commerciale la irlandese Lorna Delziel, a capo delle hostess Aubrey Tiedt (già sua collaboratrice in Etihad) per ridisegnare le divise. Qui l’organigramma disegnato dal Corriere Economia un anno fa. Hogan sbandiera in tutte le occasioni che vuole un’Alitalia sexy con un servizio a 5 stelle e allora via al cambio della livrea, presentata in Pompa magna con Renzi. Le cose però non sono tutte rose e fiori tanto che Cassano dopo neanche un anno si dimette. A volerne la testa è  Montezemolo che però non chiede per la parte italiana quella carica, tanto che dopo un breve suo interregno (anche se di fatto l’azienda in quei sei mesi fu diretta dal duo Naysmith-Schisano, come ricorda Dragoni sul Sole 24 Ore il 13 gennaio), a marzo scorso arriva come nuovo amministratore delegato l’australiano Cramer Ball, ex CEO delle partecipate Jet Airways e Air Seychelles.

TUTTO SOTTO CONTROLLO?

Appena insediatosi Ball conferma la bontà del piano preparato da Hogan e ad aprile il cda approva il bilancio del primo anno della nuova Alitalia con una perdita di 199 milioni. Una perdita prevista si affrettano a comunicare dalla compagnia . L’australiano  conferma per il 2017 l’anno della svolta. Gli fa eco anche Montezemolo in occasione della presentazione delle nuove divise del personale a giugno. In realtà i conti non vanno come previsto e per il 2016 le perdite dovrebbero essere cresciute intorno ai 500 milioni secondo alcune indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore.E sarebbe necessaria una manovra da un miliardo di euro, scrive Repubblica, che non esclude anche un intervento statale (Cassa depositi e prestiti – che ha già smentito, o la iper-dinamica Ferrovie dello stato).

COSA FA HOGAN?

In cda i rappresentanti della parte italiana accusano gli emiratini di non aver evidenziato tempestivamente l’allarme sui conti. Inizia con un clima molto teso il confronto nel board sui nuovi investimenti e il nuovo piano. Le banche – che in cda hanno avvicendato Mustier con Federico Ghizzoni e Paolo Andrea Colombo con Gaetano Micciché – non si fidano più delle promesse mirabolanti di Hogan, in difficoltà anche ad Abu Dhabi. Il quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt rivela come per Hogan sia già suonata la campanella dell’ultimo giro in Etihad. Il Messaggero aggiunge come sia già stato individuato in Ahmed Ali Al Sayegh il sostituto di Hogan nel cda Alitalia. Nel frattempo si arriva ad una sofferta approvazione di un piano industriale parziale. In realtà però le banche non sono ancora soddisfatte, puntano a sostituire Ball con un manager italiano in grado di interloquire con gli stakeholders, in particolare l’esecutivo. I rapporti tesi infatti sono anche a livello politico. Matteo Renzi e Graziano Delrio si irritano molto per l’abrasiva intervista che Hogan rilascia a Federico Fubini sul Corriere della Sera con cui il vicepresidente Alitalia cerca infatti di giustificare i risultati modesti sul governo (in particolare sulla mancata liberalizzazione di Linate). Delrio rispose che nessun impegno era stato disatteso.

LOW COST A 5 STELLE?

Le bozze del nuovo piano – che dovrà essere vidimato da un nuovo consulente, presumibilmente per il Messaggero Roland Berger – prevederebbero un futuro di ridimensionamento sull’Europa dove Alitalia ha già cancellato i voli per Istanbul, Valencia, Skopje e Bucarest (il Giornale) per provare a trasformarsi in una low cost. Tutte le compagnie tradizionali europee hanno una controllata a basso prezzo per fare concorrenza a Ryanair e easyjet. Vueling è l’arma di British Airways e Iberia, Germanwings (tristemente nota per il suicidio del pilota nel 2015) è la low cost di Lufthansa mentre Hop è quella di Air France – Klm. Alitalia ci aveva già provato ai tempi di Rocco Sabelli a creare una low cost in casa con Air One, divisione che proprio Etihad decise poi di non prendere in considerazione durante la due diligence. Dimagrire sui voli brevi per crescere sui voli a lungo raggio, in particolare negli Stati Uniti. Per fare questo però Alitalia deve avere approvazione degli alleati Delta Air Lines e Air France Klm con cui si è legata fino al 2022 in una joint venture per dividersi i costi e i ricavi sui voli Europa-Usa. Per questo Montezemolo ha chiesto un aiuto diplomatico al governo. Ridimensionare troppo i voli di medio raggio finisce per compromettere la buona riuscita si quelli di lungo raggio evidenza l’economista Andrea Giuricin. I voli transatlantici per andare in utile – e servono alcuni anni – necessitano di una rete di collegamenti in connessione per riempire l’aereo con passeggeri provenienti da altri scali periferici.

UN TERZO AD?

Già, il governo. Le dure parole del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, sulla mancanza di un piano industriale e sul gestione fallimentare del management è un chiaro attacco a Ball e ai dirigenti voluti da Etihad. Per Gianni Dragoni del Sole 24 ore il primo a pagare potrebbe essere il capo delle strategie Shepley. Non è un mistero che Calenda abbia un rapporto di vicinanza con Montezemolo (con lui anche in Italia Futura, il think tank che non divenne partito) che curiosamente non era presente nella delegazione aziendale che ha incassato la reprimenda del ministro. Secondo alcuni osservatori un’assenza non casuale per facilitare il ricambio dell’Ad. Cominciano anche a circolare nomi per sostituire Ball.

NUOVO CAVALIERE BIANCO? 

La cordata italiana vorrebbe poi trovare un nuovo partner industriale europeo a cui cedere la quota di maggioranza (che deve restare in mani comunitarie per non perdere i diritti di volo). Da scartare Air France Klm con cui proprio il 13 gennaio scadrà la joint venture per i voli dall’Italia verso Francia e Olanda. Si cerca invece di agganciare lufthansa che negli ultimi  anni ha acquisito Swiss, Austrian Airlines, Brussels Airlines (ex Sabena) e sta per mettere le mani sopra alla derelitta Airberlin. Etihad che inizialmente voleva fare la guerra ai tedeschi ha finito per stringerci un’alleanza. Un’eventuale ingresso di Lufthansa, che guida l’alleanza internazionale Star Alliance, farebbe automaticamente superare i vincoli dell’alleanza sull’Atlantico con Delta e Air France Klm e causerebbe una immediata uscita dal conglomerato internazionale Skyteam, dove sono presenti altre compagnie come Aeroflot, China Airlines e Aerolinas Argentinas, Alle indiscrezioni del Messaggero del 18 ottobre su una possibile intesa italo-tedesca è seguita una immediata smentita raccolta da Leonard Berberi per il Corriere della Sera. 

QUANTI ESUBERI?
Calenda non vuol sentire parlare di esuberi senza la presentazione del piano industriale. Per ora, inoltre, al tavolo governo-azienda non è stato ancora invitato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, come ha sottolineato ieri da Bologna il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: “se dovessimo affrontare una discussione su Alitalia forse dovremmo farla più dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti Delrio e dal ministro Calenda che al ministero del Lavoro: mi auguro che nessuno pensi che la discussione su Alitalia cominci da un tema di lavoratori e di esuberi”. I numeri sono molto variabili, si va da 1.600 a 4.000, numero quest’ultimo che l’azienda ha smentito con una lettera al Sole 24 Ore, aggiungendo però che ancora non c’è un numero determinato. Nel 2008 nel passaggio dall’Alitalia commissariata di Augusto Fantozzi a quella dei “capitani coraggiosi” di Roberto Colaninno, con assorbimento dell’Air One di Carlo Toto, furono in circa 7000 gli esuberi, nel 2014 altri 2.251 propedeutici all’arrivo di Etihad. Con gli imminenti del 2017 si scollinerà così la non invidiabile cifra di 10.000 espulsioni dal mondo del lavoro in dieci anni.
UN PO’ DI AUTOCRITICA?
La storia attuale di Alitalia è forse un buono spunto per fare un po’ di autocritica alle scelte dei vari management ma anche alla politica industriale di un Paese. E’ bene ricordare che nel 1997 l’Alitalia pubblica, guidata da Domenico Cempella, lanciò per prima in Europa il progetto di una compagnia che superasse i confini nazionali. Swissair, Air France e Klm si offrirono in sposa e Cempella scelse gli olandesi mandando su tutte le furie il segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, che arrivò a minacciare una crisi di governo (era il periodo delle 35 ore di Lionel Jospin). I tentennamenti poi dei governi (Prodi-D’Alema-Amato) sulla grande Malpensa, uno dei capisaldi dell’alleanza, fecero scappare gli olandesi e far dimettere Cempella. Il nuovo capoazienda Francesco Mengozzi provò il matrimonio con Air France (che in quegli anni si unì proprio a Klm), come ha ricordato Oscar Giannino sul Messaggero riconoscendo i meriti del boiardo che ora è alle prese con strascichi giudiziari per presunte responsabilità sulla bancarotta. Ancora niente da fare. L’ultimo tentativo lo compie Romano Prodi nel 2006 quando, dopo aver visto fallire una gara di privatizzazione per il ritiro dei pretendenti (inizialmente c’era anche Carlo De Benedetti), avvia attraverso il presidente della compagnia Maurizio Prato una trattativa privata con Jean Cyrill Spinetta, dopo aver sondato anche Lufthansa e British Airways. Una trattativa che però svanisce all’ultimo per la caduta proprio del governo Prodi e la conseguente campagna sull’italianità scatenata da Silvio Berlusconi, che – anche per questo – vincerà le elezioni. L’ipotesi Parigi ritorna comunque anche con i capitani coraggiosi che, dopo essere stato strumento della precedente fallita trattativa, si alleano proprio con Air France Klm che entra nella nuova Alitalia con una quota del 25%. Sabelli suggerisce, alla fine del suo mandato, di cedere ai francesi, ma Colaninno si oppone ancora una volta. Dopo le ennesime gestioni e i piani di rilancio dei vari Ragnetti, Del Torchio, Cassano e Ball siamo tornati al punto di partenza. “Sono semplicemente triste di vedere come questa gloriosa compagnia si è ridotta. Me ne sono occupato che era prima di Cristo adesso sono passati tanti secoli”, l’epitaffio di Romano Prodi di ieri.
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