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Ecco come l’America bersaglia il petrolio dell’Isis (mentre Assad lo compra)

I report dell’operazione Inherent Resolve (Stati Uniti contro Stato islamico) parlano quotidianamente di una guerra nella guerra che gli americani stanno conducendo contro il Califfato: quella con cui colpiscono i sistemi di vendita clandestina del petrolio. Una sequenza aggressiva: il 19 gennaio sono stati distrutti venti serbatoi per la raffinazione, il 18 altri otto più un’autocisterna, oppure ancora, il 14 tre boccapozzi rendendo da lì l’estrazione inutilizzabile, il 12 altri camion, fino a correre indietro a metà dicembre quando sotto i missili dei cacciabombardieri americani finirono oltre cento veicoli che trasportavano il petrolio del Califfo.

La campagna contro i pozzi di Abu Bakr al Baghdadi è iniziata a novembre del 2015 – va sotto il nome di Tidal Wave II, evocando la prima della missioni così chiamate che aveva come obiettivo la produzione di petrolio rumeno dell’Asse nazista. Nel 2015 anche i russi avevano colpiti alcune istallazioni petrolifere dell’Isis. È noto che lo Stato islamico abbia il controllo di svariati pozzi e raffinerie con cui vende di contrabbando petrolio. Il luogo principale in cui avvengono questi bombardamenti è Deir Ezzor, città dell’est siriano, regione ricca di giacimenti (oltre al petrolio, c’è anche il gas naturale).

A Deir Ezzor i caccia russi sono impegnati nell’estrema difesa davanti a una possente offensiva baghadista, mentre gli americani restano concentrati sulla linea economico-commerciale dell’oro nero: gli aerei di Mosca e Washington bombardano nella stessa area ma senza coordinamento – solo comunicazioni per la sicurezza in volo. Per il momento: fra poche ore, con Donald Trump ormai  insediato e l’inizio dei negoziati kazaki gli obiettivi potrebbero sovrapporsi.

A Deir Ezzor si consuma anche una delle realtà implicite del conflitto: lì lo Stato islamico vende petrolio al governo siriano. Un pezzo del Wall Street Journal racconta che attualmente i ricavi delle vendite di greggio a Damasco sono il principale introito dell’IS. L’articolo del WSJ è ben informato, grazie a funzionari anonimi e non: per esempio, al giornale ha parlato Amos Hochstein, inviato speciale della Casa Bianca a coordinare gli sforzi americani per sopprimere il traffico. Il funzionario dice che in questo momento Damasco sta comprando molto petrolio (e molto gas naturale) prodotto nelle aree controllate dall’IS: è la pragmatica della guerra, senza di quello lo Stato siriano non andrebbe avanti, anche perché da un paio di settimane Russia e Iran hanno ridotto le consegne di gas a buon mercato per alimentare le centrali locali. Sebbene Stato islamico è un obiettivo abituale di Bashar el Assad quando proclama l’impegno del suo governo contro il terrorismo, Damasco “si basa sul gas prodotto in un territorio dell’Isis nella zona di Palmira (la centrale di gas naturale di Al Akram, ndr) per una grande parte della sua produzione di energia” ha detto un altro funzionario europeo. Palmira, città storica deturpata dell’occupazione dei fanatici islamici, si trova sulla direttiva geografica est-ovest di Deir Ezzor e su quella longitudinale di Raqqa, due roccaforti siriane dell’IS.

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