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Tutti gli effetti politici della sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum

La bocciatura del ballottaggio ma il salvataggio del premio di maggioranza e la precisazione, da parte della Corte Costituzionale, che il testo residuo della legge elettorale per la Camera la rende in ogni caso immediatamente applicabile, com’era d’altronde inevitabile che fosse, fanno forse tirare un sospiro di sollievo al segretario del Pd Matteo Renzi. Che può ancora sperare di strappare al presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni anticipate entro giugno.

Il Parlamento può certo intervenire, com’è tornato ad auspicare, diciamo pure a reclamare, il presidente del Senato mentre i giudici costituzionali erano ancora in camera di Consiglio, per “armonizzare”, come si era augurato più volte il capo dello Stato in persona, le norme che disciplinano oggi diversamente l’elezione del Senato e della Camera, ma nessuno potrà tirare la corda troppo a lungo se il segretario del Pd punterà i piedi. E, ad un certo punto, senza bisogno di togliergli la fiducia, convincerà il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni Silverj a dimettersi per arrivare ad un chiarimento della situazione e degli equilibri politici col ricorso alle urne, dopo lo scossone referendario che ha travolto la riforma costituzionale.

Anche la minoranza del Pd, contrarissima alle elezioni anticipate, può trovare qualcosa per essa tranquillizzante nel verdetto della Consulta. La bocciatura del diritto dei capilisti di presentarsi in più posti e poi scegliere a loro insindacabile giudizio la sede di elezione, liberando posti altrove ai più graditi, riduce infatti gli spazi di manovra del segretario del partito nella preparazione delle candidature, interessato naturalmente a controllare bene i nuovi gruppi parlamentari del suo partito: meglio comunque di quanto non abbia potuto fare in questa legislatura in via di esaurimento, avendo ereditato le scelte del segretario precedente, Pier Luigi Bersani, per le elezioni del 2013.

Tutto sommato, si può dire che dopo l’uso delle forbici da parte dei giudici costituzionali Renzi può ritenere di avere sul suo tavolo, o di poter mettere a breve, una pistola carica.

Queste sono le prime impressioni ricavabili dal comunicato o dispositivo della Corte Costituzionale. La cui sentenza andrà ancora depositata e pubblicata, completa quindi delle motivazioni e indicazioni decisive per un eventuale intervento delle Camere. Motivazioni e indicazioni che potrebbero persino cambiare gli elementi che al momento appaiono prevalentemente favorevoli alla linea e agli obiettivi di Renzi.

In pratica, i giudici della Consulta hanno confermato quella che è stata sempre la loro regola nell’esame delle leggi elettorali: bocciarne parti anche importanti senza tuttavia compromettere, come si diceva all’inizio, l’immediata applicabilità delle parti salvate.

La Corte non poteva d’altronde smentire il principio della salvaguardia delle istituzioni e del loro funzionamento. Le Camere debbono poter essere rinnovate in qualsiasi momento, anche diverso dalla loro scadenza ordinaria. Diversamente il sistema risulterebbe bloccato.

I giudici della Consulta hanno usato le loro forbici per fare uscire dalla loro sartoria un abito indossabile. Alle Camere restano le rifiniture, non certo secondarie in una legge elettorale. Restano i bottoni, l’ago e il filo con cui metterli e le eventuali linee di modifica ulteriore del testo che dovessero essere indicate col gesso – per restare nel linguaggio dei sarti – nelle motivazioni della sentenza. Ma il tutto entro scadenze temporali la cui valutazione spetta solo alla politica.

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