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Amoris Laetitia, che cosa dicono Caffarra, Grech e Scicluna

Carlo Caffarra

“Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia una grande confusione”. Per la prima volta dalla pubblicazione della lettera dei quattro cardinali inviata al Papa per chiedere chiarimenti su alcuni punti di Amoris laetitia, è intervenuto l’arcivescovo emerito di Bologna, Carlo Caffarra, uno dei quattro firmatari dei dubia. In una articolata intervista pubblicata sabato 14 dal Foglio e raccolta da Matteo Matzuzzi, il porporato evidenzia il noto “conflitto di interpretazioni” su questioni fondamentali che riguardano i sacramenti (matrimonio, confessione ed eucarestia) e la vita cristiana: “Alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A”.

COMUNIONE PER CHIUNQUE SI SENTA “IN PACE CON DIO”

Per singolare coincidenza, mentre usciva l’intervista dell’emerito di Bologna al Foglio che ricordava anche l’insegnamento di certi vescovi secondo cui in date certe circostanze un divorziato risposato, anche senza impegnarsi nella continenza, come insegna il magistero pontificio precedente, può accostarsi all’eucarestia, L’Osservatore Romano pubblicava le linee guida della Conferenza episcopale maltese. Criteri applicativi all’Amoris laetitia di questo tenore: “Qualora come esito del processo di discernimento (…) una persona separata o divorziata che vive una nuova unione arriva — con una coscienza formata e illuminata — a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia”. Un salto in avanti anche rispetto alle ermeneutiche più aperte, come ad esempio quella dei vescovi argentini, approvate personalmente dal Papa. Ma se gli argentini molto ancora insistevano sulla questione del discernimento per l’accesso alla comunione “in certi casi”, da Malta si esplicita un ulteriore “credere di essere in pace con Dio” del singolo fedele.

MALTA FIRMA, ROMA APPROVA

Il documento maltese va considerato con attenzione: sia perché è stato tempestivamente pubblicato dal giornale del Papa, sia per il ruolo dei vescovi che l’anno redatto. Che son due: Mario Grech (Gozo) ma soprattutto l’arcivescovo di Malta, Charles Scicluna, membro della Congregazione per la dottrina della fede. Dottorato nel 1991 in Diritto canonico alla Gregoriana – relatore Raymond Burke, uno dei firmatari degli attuali dubia – Scicluna è stato, ai tempi di Benedetto XVI, promotore di giustizia dell’ex Sant’Uffizio. In quel ruolo era il grande inquisitore dei preti pedofili e ha riaperto il dossier sugli abusi di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo. Ma anche dopo la nomina a vescovo, il monsignore non ha abbandonato la Curia, tornandoci periodicamente da inizio 2015 come presidente del Collegio istituito da Francesco per garantire un più rapido esame dei ricorsi relativi ai delitti più gravi: quelli contro la fede e l’abuso dei minori da parte di un esponente del clero. Quindi la sua è una voce che arriva direttamente dalla Congregazione per la dottrina della fede, guardiana dell’ortodossia cattolica.

IL RUOLO DELLA COSCIENZA

Su quel sentirsi “in pace con Dio”, e quindi su come intendere la coscienza del singolo fedele richiamata dai vescovi maltesi, risponde (ovviamente indirettamente, per una questione cronologica) Caffarra al Foglio, ricordando il quinto dubbio, “il più importante di tutti”, quello che domanda se è ancora valido l’insegnamento di Giovanni Paolo II “che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto”. Citando Newman, il cardinale ricorda che spesso “nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza”. E incalza sulla necessità di un chiarimento perché “pare che Amoris laetitia” ammetta “la possibilità che ci sia un giudizio vero della coscienza in contraddizione con ciò che la Chiesa insegna come attinente al deposito della divina Rivelazione”. Questioni di una gravità sconvolgente, le definisce Caffarra: “Si eleverebbe il giudizio privato a criterio ultimo della verità morale”. Esattamente quanto sembrano invece indicare i vescovi maltesi, pubblicati sul giornale del Papa e con la firma di un membro della Congregazione per la dottrina della fede.

PERPLESSITÀ DIFFUSE

Prima ancora che uscisse Amoris laetitia, una trentina di cardinali avevano espresso le proprie perplessità al Papa sulla questione della comunione ai divorziati risposati. La stessa Congregazione per la dottrina della fede – riporta Edward Pentin – aveva presentato “molte correzioni, e nessuna è stata accettata”. L’iniziativa pubblica dei quattro con i cinque dubia, ha confermato pochi giorni fa a La Verità il cardinale Raymond Burke, è condivisa: “Conosco personalmente altri cardinali che supportano pienamente i dubia”. Secondo un calcolo del vaticanista Sandro Magister, a inizio gennaio, tra i ventitré cardinali e vescovi intervenuti il punteggio è di 14 a 9 a vantaggio dei quattro cardinali. Francesco non risponde con un semplice Sì o No ai dubia, come la prassi formale invocata dai quattro porporati richiederebbe. Ma si sono intensificate, in omelie e interventi del Papa, parole che sembrano risposte indirette. La più netta, in un’intervista ad Avvenire: “Alcuni continuano a non comprendere, o bianco o nero, anche se è nel flusso della vita che si deve discernere”. La divisione nella Chiesa è ogni giorno più evidente. E questa, per Caffarra “è la causa della lettera inviata al Papa, non un suo effetto”. L’arcivescovo emerito di Bologna non arretra: “Abbiamo interpretato il silenzio (del Papa, ndr) come autorizzazione a proseguire il confronto teologico”. Vescovi e fedeli, scandisce, “hanno diritto di sapere”.

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