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Don Camillo compie 70 anni. Intervista con Albertino Guareschi

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Alberto Guareschi, Albertino per gli amici suoi e del papà Giovannino, ha dedicato tutta la sua vita alla cura, conservazione e diffusione del patrimonio letterario paterno. Assieme alla sorella Carlotta ‘la Pasionaria’, recentemente e prematuramente scomparsa, ha messo a disposizione l’archivio dell’autore del ‘Mondo piccolo’ e del giornalista direttore e fondatore di ‘Candido’. È indubitabilmente anche grazie ai figli, se Giovannino Guareschi continua a essere uno degli autori italiani più amati e noti, in patria e all’estero. In questi giorni si è celebrato un compleanno speciale: Don Camillo, nella sua versione a puntate settimanali uscita sul Candido, compie infatti 70 anni. Leggermente più giovani sono invece quelle libraria e cinematografica. Di questi primi 70 anni del prete della Bassa chiacchieriamo proprio con Albertino, consigliando tra gli altri la lettura di “Buon compleanno, don Camillo” di Egidio Bandini, appena uscito per i tipi del Borghese.

Don Camillo nasce a fine ’46 sulle pagine del Candido: esito di un progetto narrativo o improvvisazione giornalistica casuale?

Mio babbo già da anni voleva parlare della sua terra e della sua gente, forte anche dell’esortazione che gli aveva fatto il grande Giuseppe Marotta dopo aver letto il racconto “Una ragazza con molta cipria” apparso nel 1942 sul «Corriere della Sera». Ma i tempi non erano maturi, c’era la guerra, poi, in seguito, l’internamento nei Lager tedeschi. Nel marzo del 1946 fece una “prova” su «Candido» scrivendo quattro puntate del “Gazzettino di Roccapezza”: «un posto dimenticato da Dio», così scrisse nella presentazione, «in cima a un certo montarozzo giù di mano». Si capì che l’aria di montagna non era adatta per i suoi personaggi e così, in seguito, Giovannino ha pensato bene di spostarli in un paesino sulla riva destra del Grande fiume. In dicembre scrisse il primo racconto per il settimanale «Oggi» al quale collaborava poi, per esigenze di stampa, fu costretto a trasferirlo all’ultimo momento su «Candido», ricevendo dai suoi lettori l’invito a continuare a parlare dei due personaggi Peppone e don Camillo, che risultarono già nel primo racconto molto simpatici. I lettori sono stati presi in parola considerato che, nel giro di vent’anni, mio babbo ha scritto 346 racconti, creando una vera e propria saga del Mondo piccolo…

Suo padre immaginava che quello, tra tanti, sarebbe stato il suo protagonista più celebre?

Sì, ma non all’inizio della saga, anche se il primo volume che raccoglieva quei racconti aveva avuto un successo incredibile tradotto in tutte le lingue principali. La conferma l’ebbe quando venne girato il primo film, cui fecero seguito gli altri quattro e che contribuirono a dargli quella grandissima popolarità che dura tutt’ora.

I film tratti dal Mondo Piccolo ne aumentarono la popolarità, ma i rapporti di Giovannino con il cinema come furono?

I rapporti di mio babbo furono buoni solo con i due grandi interpreti, Gino Cervi e Fernandel. Con il produttore, i registi e gli sceneggiatori ufficiali furono burrascosi perché non accettava le scelte degli episodi da ridurre né i cambiamenti alle sceneggiature, che lui aveva firmato solo per ragioni economiche e di opportunità. Il film era tratto dal “libello” (così lo avevano definito i comunisti) del direttore di Candido, feroce avversario del comunismo e produttore, registi e sceneggiatori non volevano inimicarsi il Partito comunista. Si trattò comunque di una novità. Il primo film fu girato nel 1951 e portava sullo schermo per la prima volta un prete che agiva da “uomo” – con le sue intemperanze – e non da prete. Inoltre, sempre per la prima volta, si dava voce sullo schermo al Cristo.

Suo padre visse gli ultimi anni in condizioni difficili, isolato dal mondo culturale e politico, come mai?

Mio babbo per tutta la vita ha vissuto da spirito libero, senza nessun legame con il mondo politico, criticando senza distinzioni i partiti e i loro leader sul suo settimanale «Candido». Fu quindi inevitabile il suo isolamento dopo la chiusura – su richiesta di un politico – di quel settimanale che gli dava voce. Il mondo culturale, negli ultimi anni della sua vita ha continuato ad ignorarne l’esistenza come aveva sempre fatto, stendendo, anche dopo la sua morte, il velo del silenzio, nel tentativo di cancellarne anche la memoria.

Un tentativo fortunatamente fallito. Come pensa che giudicherebbe, Giovannino, l’attuale situazione del nostro paese?

Penso che mio babbo commenterebbe, sconfortato, che tutte le sue previsioni nelle sue rubriche pubblicate dal 1963 al 1968 sul «Borghese», si sono purtroppo realizzate.

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