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Il ricorso di Fastweb e la chiusura di Linkem mobile: lo stato degli MVNO in Italia

Sono ormai 10 anni che il mercato telefonico si è arricchito di operatori mobili virtuali, cioè coloro che non hanno una propria infrastruttura né proprie frequenze ma si appoggiano ad operatori infrastrutturati acquistando i loro servizi all’ingrosso a condizioni commerciali. Vale la pena mettere a sistema due notizie apparse in questi giorni sui giornali e commentarle insieme per cercare di capire a che punto di maturità è giunto il mercato e se è possibile apportare migliorie in termini di crescita economica.

La prima interessante notizia è quella del ricorso di Fastweb verso la Commissione europea per la concessione delle frequenze mobili ad Iliad, un operatore francese che sta per entrare nel mercato italiano a seguito della fusione tra Wind e Tre. Fastweb – vale la pena ricordare – è un operatore molto impegnato nello sviluppo della rete in fibra ottica italiana, ma che sul mercato mobile ha bisogno di ricorrere a operatori licenziatari di frequenze per poter offrire – come MVNO – servizi integrati e convergenti ai propri clienti. Durante il processo di fusione di Wind con Tre, Fastweb aveva provato ad ottenere quelle frequenze preziose che invece la Commissione ha assegnato a Iliad, e che sarebbero state fondamentali per consentire a Fastweb di autonomizzarsi e far crescere il suo MVNO, proprio con l’acquisto delle frequenze.

L’esercizio di oggi consiste nel mettere a sistema questa notizia con la chiusura di Linkem mobile. Linkem – tutti sappiamo – è un operatore telefonico molto attivo sul mercato, con una propria struttura commerciale, un consistente bacino di clienti, un brand riconosciuto. Nonostante questo non ce l’ha fatta a rimanere sul mercato e chiude la divisione MVNO.

Io credo che questa analisi debba prendere le mosse da come è nato il mercato degli MVNO, ossia a seguito di un procedimento Antitrust che si è concluso con l’apertura del mercato ai new entrant. Un mercato che – vale la pena ricordare – era già aperto ma che però di fatto non vedeva la presenza di operatori mobili virtuali.

A distanza di 10 anni, il mercato italiano conta pochissimi MVNO. Oggi ne conosciamo alcuni e sappiamo che possono farcela se e solo se il cliente finale riconosce il carattere aggressivo dell’offerta e la ritiene vantaggiosa. Altro ingrediente fondamentale e tipico è quello di avere un elevato bacino di utenti presenti sul business primario, a cui rivolgere l’offerta di connessione mobile, oppure il lancio di servizi specializzati accessori.

In tutto questo bisogna avere comunque tanti soldi da investire perché anche di questo si tratta quando bisogna spingere dei prodotti particolari, innovativi, magari legati all’Internet of things. Si, perché il mercato stesso ha dei problemi, e sono problemi strutturali che in qualche modo sono associabili a una perdita di profitti che è segnata anche dal fatto che laddove c’è un operatore “lepre” che va avanti, ed abbassa per primo le tariffe, questo costringe tutti gli altri operatori a seguirlo nel ribasso.

Conosciamo da tempo cosa si può fare per opporsi a questo trend ed iniziare a valorizzare gli operatori mobili virtuali.

Prova ne sia il fatto che Tim stessa sta cercando di lanciare un proprio brand nel mercato operatori mobili virtuali, quasi come se fosse un operatore low cost della telefonia mobile, o almeno è questo che ci dicono le notizie che sono trapelate.

Io credo che si può fare ancora molto anche attraverso una banale “moral suasion” da parte delle autorità regolatorie, magari invitando gli operatori a un tavolo per cercare insieme soluzioni migliorative per tutti gli operatori mobili virtuali cercando di analizzare se esiste ancora una possibilità per aprire veramente al mercato e per evitare che ci sia la necessità di sottoscrivere dei contratti molto onerosi e che poi nei fatti non rispecchiano nessuna possibilità per l’operatore mobile virtuale di rimanere sul mercato a lungo. Questo è importante importante capirlo per evitare delle problematiche poi prima o poi verranno al pettine già con l’avvento del 5G.

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