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Cosa bisbigliano Matteo Renzi e Silvio Berlusconi

sicilia, Mattarella Silvio Berlusconi

Il ritorno di Matteo Renzi, con quella lunga e determinata intervista a Repubblica, incrociatasi peraltro con un’altra di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera tutta proiettata verso l’adozione di un sistema elettorale proporzionale che lo affranchi dai rapporti sempre più difficili con la Lega di Matteo Salvini, ha creato allarme, se non panico, fra i dirigenti di Forza Italia. Che dai contatti avuti molto dietro le quinte dai soliti “ambasciatori” delle due parti avevano ricavato prima di domenica l’impressione di un segretario del Pd più malleabile, più tramortito dalla sconfitta referendaria sulla riforma costituzionale, più timoroso della possibilità che l’ex Cavaliere intervenisse nella sempre complicata situazione interna del partito guidato ancora da Renzi per scavalcarlo nei rapporti con alcuni esponenti della maggioranza, magari il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, o il nuovo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, e imporgli qualche soluzione indigesta nella trattativa sulla nuova legge elettorale. Che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, di cui Berlusconi ha improvvisamente scoperto tutte le virtù possibili e immaginabili, reclama sia organica e omogenea perché non escano fuori dalle urne la prossima volta due Camere tra loro incompatibili.

Renzi ha detto chiaro e tondo che lui al ballottaggio contemplato dalla legge chiamata Italicum, all’esame ora della Corte Costituzionale, non intende rinunciare a cuor leggero, se i giudici del Palazzo della Consulta non lo dovessero bocciare del tutto. E si limitassero invece a reclamare una soglia minima di partecipazione alle urne per rendere valido il premio di maggioranza, facendo sennò applicare i risultati del primo turno con distribuzione proporzionale dei seggi parlamentari.

Al massimo Renzi potrebbe accettare ciò che gli hanno già chiesto i dissidenti del Pd, anche se lui non lo ha detto esplicitamente nell’intervista: la possibilità del ballottaggio non più fra le sole due liste più votate ma fra liste apparentate, cioè fra coalizioni. Cosa che restituirebbe Berlusconi a quello che sembra ormai essere diventato il cappio di Salvini, deciso a contendergli la leadership di quello che fu il centrodestra, e che per il segretario leghista deve intendersi “ormai finito”- come ha appena detto – fin quando l’ex Cavaliere rifiuterà le primarie per assumerne o conservarne la guida, pur alla sua età e nelle condizioni d’incandidabilità in cui si trova.

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“Col maggioritario – ha detto Renzi intendendo per tale o un ballottaggio aggiornato ad un giudizio non preclusivo della Corte Costituzionale o il ritorno al sistema elettorale che porta il nome latinizzato dell’attuale presidente della Repubblica, ed è stato già sperimentato nelle elezioni svoltesi fra il 1994 e il 2001 – il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale”, quello preferito e voluto cioè da Berlusconi, “torniamo a un sistema più simile alla Democrazia Cristiana”, dei tempi del padre dello stesso Renzi, Tiziano, prima fanfaniano e poi demitiano.

Ma anche con il proporzionale, se Berlusconi dovesse riuscire comunque a imporlo intrufolandosi nei giochi interni degli altri partiti e schieramenti, “il Pd – ha ammonito Renzi – sarà decisivo comunque. Il futuro dell’Italia passa da noi”. Cioè, per tradurre in soldoni il ragionamento dell’ex presidente del Consiglio, il Pd prenderebbe il posto, per ragioni numeriche, di quella che fu la Dc, Forza Italia e gli altri partiti che sono o si considerano centristi prenderebbero il posto dei partiti alleati di quello che fu lo scudocrociato, i grillini diventerebbero gli eredi dell’opposizione comunista e Salvini e Giorgia Meloni il posto della destra missina della cosiddetta prima Repubblica.

Anche alla minoranza abitualmente turbolenta e aggressiva del Pd, che continua a considerare Renzi un intruso, un abusivo, un arrogante irrecuperabile, non converrebbe più rompere le scatole più di tanto perché a rimetterci sarebbe pure lei se il partito si rompesse e perdesse la posizione di dominus del quadro politico.
Per Berlusconi, che cominciò nel 1994 la sua avventura politica togliendo alla Dc la centralità, sarebbe imbarazzante chiuderla consegnandola al Pd e diventando un suo alleato d’obbligo, magari solo a tutela degli interessi delle sue aziende.

Il Giornale della famiglia Berlusconi sembra per ora consolarsi osservando, come ha appena fatto il suo direttore Alessandro Sallusti con un editoriale, che Renzi e l’ex Cavaliere sono passati dalla originaria volontà di eliminarsi a vicenda alla possibilità o necessità, come preferite, di allearsi.

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Contribuisce alle preoccupazioni, se non al panico, dei berluscones il proposito dichiarato da Renzi di stare sì a sinistra, dove a Forza Italia potrebbe fare comodo per insidiargli di tanto l’elettorato, come faceva il Psi craxiano con la Dc guidata da Ciriaco De Mita, ma una sinistra del tutto diversa, diciamo pure opposta a quella rappresentata dalla minoranza del Pd: una sinistra “moderna”, che – ha detto Renzi – “è garantista, abbassa le tasse e non è necessariamente a rimorchio del sindacato”.

Ad una sinistra di questo tipo, che è poi una sinistra di stampo craxiano, anche se Renzi non vuole sentirserlo dire perché conformisticamente condizionato dalla demonizzazione dello scomparso leader socialista fatta dai comunisti, Forza Italia potrebbe contendere ben pochi voti: diciamo pure nessuno. Sarebbe piuttosto Renzi a sottrarre voti agli azzurri, facilitato anche dal fatto di avere la metà degli anni del loro pur indomito leader.

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