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Tre gambe per il post voto

A fronte del grande spazio riservato sui mezzi di comunicazione tradizionali, è assai probabile che in molti abbiano seguito e seguano con un certo distacco le vicende legate alla pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge elettorale. Per non pochi Italiani il dibattito che incendia l’agone politico circa quando andare a elezioni è vissuto con assai scarso coinvolgimento: quelle formule alchemiche che regolano le norme elettorali, certamente fondamentali per decidere chi entra e chi resta fuori nel giro che conta, sono solitamente incomprensibili per i più, interessati a ricevere dalla politica risposte ai problemi concreti. In ogni caso, dato che siamo ancora in tempo in vista dello scontro alle urne, potrebbe trovar spazio un sommesso avvertimento, pacatamente e serenamente, come amava ricordare il Veltroni made in Crozza. I programmi della politica, per avere speranza di portare ad un qualche risultato, devono reggersi su alcune gambe. La prima è fatta di buone idee e di proposte solide: inutile far proclami per propositi irrealizzabili. C’è sempre uno iato – anche notevole – fra una proposta e la sua concreta realizzazione finale, che sconta la famosa scatola nera in cui vengono frullate le politiche pubbliche. Tuttavia, l’irresponsabilità sfrenata può fare di quello iato un crepaccio in cui rischiare di precipitare. La seconda gamba sono, conseguentemente, delle forze politiche responsabili che, sulla base di proposte serie, riescano a condurle in porto seguendo due coordinate indispensabili: non perdere (troppo) tempo a farsi la guerra spasimando per un passaggio televisivo, affidandosi alla defatigante ripetizione di slogan e frasi fatte (su questo Donald Trump sta dando efficacissime lezioni di comunicazione, eventualmente rivolgersi lì), e saper parlare delle loro proposte al Paese, tenendo dentro quei pezzi di società su cui le politiche impatteranno. I sindacati, innanzitutto, e penso alla recente Via Crucis della riforma della Pubblica Amministrazione, condotta in solitaria avverso qualsiasi suggerimento o monito. Ma non solo. C’è necessità di farsi esegeti accorti, mutando i linguaggi e riguadagnando la capacità di spiegare i cosa, i come, i perché. Su questo Matteo Renzi, surclassando Berlusconi, ha fatto scuola, anche se non così bene hanno fatto altri rappresentanti del suo Governo. La terza – e ultima – gamba è sapersi servire in modo corretto delle strutture amministrative che devono tradurre quelle idee in pratica. Inutile qui riprendere temi noti e abbondantemente sviscerati sul perché la pubblica amministrazione (meglio, le pubbliche amministrazioni) funzionino come funzionano: eccellenze e carrozzoni; donne e uomini che danno l’anima e furbetti del cartellino; isole tecnologiche e montagne di carte. Il punto non è l’ennesima riforma, ma ricostruire un corretto rapporto fra la politica legittimata dal voto e la burocrazia che ha il compito di supportarla nella costruzione di scenari di lungo respiro e farlo con una visione che non si limiti alla gestione dell’oggi. Val la pena ricordarlo perché ad ogni cambio di Governo, e a maggior ragione con una nuova Legislatura, riparte una piccola grande rivoluzione organizzativa che dall’empìreo della politica si riverbera giù giù lungo tutta la filiera amministrativa. Non siamo (ancora) allo spoil system, ci mancherebbe. Ma l’assestamento che segue una nuova configurazione del vertice politico di fatto rallenta, e in alcuni casi blocca, l’azione amministrativa, che molto spesso non può che attendere il nuovo quadro che verrà data. Nulla di patologico, ma una pratica da disbrigare velocemente e con le idee chiare. E senza partigianerie. Le decisioni vanno messe in opera, e per farlo non servono annunci, primi cento giorni o no. Men che mai servono i fideles. Giusto per ricordarcelo quando sarà il momento.

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