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Tutti i messaggini di Matteo Renzi a Bersani, Camusso e Gentiloni

politica, Matteo Renzi, 4 dicembre

Matteo Renzi ora è davvero tornato, chiudendo un periodo di silenzio che, dopo la botta referendaria del 4 dicembre sulla riforma della Costituzione e una prima autocritica davanti all’assemblea nazionale del Pd, il 18 dicembre, lo aveva fatto assomigliare addirittura ad Aldo Moro: una personalità del passato democristiano così diversa, direi opposta alla sua per abitudini e temperamento. Ma che ogni tanto s’imponeva più o meno lunghi silenzi, anche lui dopo sconfitte o rovesci, come gli accadde nel 1968 con la perdita di Palazzo Chigi, lasciando che si sprecassero le interpretazioni o previsioni di amici, avversari, cronisti e opinionisti sui suoi umori e progetti politici.

Moro quella volta stette zitto per un’intera estate, durante la quale anch’io tentai inutilmente una breccia nel suo silenzio facendogli la posta sulla spiaggia di Terracina, dove lui raggiungeva ogni tanto la famiglia sotto l’ombrellone arrivandovi rigorosamente vestito in doppiopetto grigio, e scortato in abito civile dal fedele maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi. Che dieci anni dopo, nel 1978, sarebbe morto con tutta la scorta nell’agguato di via Fani, a Roma, ordito dalle brigate rosse per rapire il presidente della Dc ed uccidere anche lui dopo 55 giorni di penosa prigionia.

Renzi, che è appunto diverso da Moro, ha resistito alla voglia di parlare per circa un mese, non di più. Ma ha parlato abbastanza alto e forte, anche se non abbastanza per le attese e le opinioni, come vedremo, di Eugenio Scalfari, sul cui giornale – la Repubblica – l’ex presidente del Consiglio ha preferito tornare, ma scegliendo come intervistatore l’ex direttore Ezio Mauro, sovente più critico di Scalfari nei suoi riguardi. Ma soprattutto distintosi ultimamente per un’ampia inchiesta sulla sinistra che si è un po’ persa dappertutto, a cominciare dal Pd, evidentemente per una torsione impostagli da Renzi, ancora accusato dai suoi avversari interni di avere inseguito troppo i voti di destra, anche nel referendum costituzionale, perdendo proprio per questo.

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Ebbene, dopo avere tenuto a spiegare di non essersi più ritirato dalla politica, come aveva detto o minacciato prim’ancora che quella campagna referendaria cominciasse, e di avere invece ritrovato “la voglia di ripartire” perché “solo un vigliacco scappa di fronte alle difficoltà”, Renzi ha spiegato o rispiegato, come preferite, che cosa egli intenda per sinistra.

“Essere di sinistra – ha detto il segretario del Pd – significa essere garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a rimorchio del sindacato, che contesta ideologicamente i voucher”, sino a promuovere un referendum per abolirli, come ha fatto la Cgil, ”e poi li usa”. In questo modo “ho già fatto” l’uomo di sinistra e “lo farò”, ha orgogliosamente rivendicato il segretario del Pd sapendo bene di mandare  di traverso la colazione ai suoi avversari interni, che considerano di sinistra l’opposto: correre dietro ai pubblici ministeri, scambiare gli avvisi di garanzia per condanne, aumentare  le tasse e assecondare la signora Susanna Camusso, non a caso da essi difesa quando Sergio Staino, direttore dell’Unità, l’ha recentemente accusata di assecondare il “ribellismo” sociale, tradendo predecessori illustri come Luciano Lama e Bruno Trentin.

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Sul tema caldissimo, nonostante il gelo di questo periodo, delle elezioni anticipate e sul rischio denunciato dai suoi avversari ch’egli voglia staccare troppo presto la spina al governo del povero Paolo Gentiloni, peraltro appena dimesso dal Policlinico Gemelli e già tornato al lavoro con una riunione del Consiglio dei Ministri densa di nomine militari e decreti legislativi, Renzi ha detto: “Io non ho fretta”. Ma ha anche aggiunto di non avere paura del voto, diversamente da altri che rischiano di non tornare in Parlamento, e persino dai grillini, in orgogliosa ascesa nei sondaggi ma ridotti con le loro liti a “un algoritmo”. In ogni caso, il segretario del Pd è deciso a non scambiare il “senso di responsabilità” chiestogli da tante parti per suicidio o quasi, come fece Pier Luigi Bersani preferendo nell’autunno del 2011 alle elezioni anticipate, che sarebbero state vinte di sicuro dal Pd, l’appoggio al governo tecnico di Mario Monti. Che comportò nel 2013 la sostanziale sconfitta del suo partito.

Nelle parole di Renzi il buon Scalfari ha visto troppa reticenza, a dir poco, o troppa voglia di andare alle elezioni, ch’egli invece consiglia di affrontare con calma, alla scadenza ordinaria della legislatura, l’anno prossimo, neppure quindi nei “tempi appena tecnicamente possibili” chiesti da Silvio Berlusconi in una intervista al Corriere della Sera pensando alle procedure non rapide per l’approvazione parlamentare di una nuova legge elettorale, dopo il verdetto della Corte Costituzionale sul cosiddetto Italicum.

Pertanto il fondatore di Repubblica, pur apprezzando di Renzi la grinta e riconoscendogli di “avere dato il meglio di sé in Europa”, dove ha sostenuto il progetto di una vera integrazione con la proposta di un ministro unico del Tesoro, gli ha dato severamente, sul terreno della politica interna, del “perfetto giocatore di roulette”. Che rischia, secondo lui, di perdere con elezioni affrettate come nel referendum sulla riforma costituzionale, comunque votata da Scalfari, al pari del suo editore e amico Carlo De Benedetti.

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