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Come rivedere il rapporto Stato-regioni. Parla Marcello Pittella

Presidente, come è noto il 4 dicembre scorso la maggioranza degli italiani ha bocciato il referendum costituzionale. Parlando di rapporti fra livelli di governo e titolo V della Carta, sul fronte politico, può dirci quali sono gli attuali limiti della governance vigente e quali saranno i rapporti fra Stato e Regioni nel prossimo futuro? Possiamo immaginare che si apra presto un nuovo percorso riformatore?

Sono diverse le ragioni che ci dovranno spingere a rivedere il rapporto tra Centro e periferia ed una di queste è senz’altro quella della materia “concorrente”, che crea contenziosi tra Stato e Regioni, con l’esito di ingessare e rallentare gli iter amministrativi. Andrebbero ridelineati ruoli e competenze, ponendosi anzitutto il tema più politico della funzione “dell’ascolto e conseguente programmazione del territorio” oltre che della sua “rappresentanza”. Chi fa cosa, e come si avverte la presenza dello Stato in termini di servizi e di garanzie offerte al cittadino sono interrogativi ai quali possiamo dare risposte attraverso il rilancio della concertazione Stato/Regioni su un livello migliore di ascolto reciproco e di qualità progettuale.

Qual è il suo giudizio in merito al dibattito in corso sulle Macroregioni, sarà un processo di riforma inevitabile?

Non credo affatto che sia una strada già tracciata. Bisognerebbe capire in nome di quale principio. Ma guardi, sulle Macroregioni ho una idea molto chiara che ho già esposto in altre occasioni: sì alla programmazione comune su temi ed obiettivi specifici e strategici, sì alla concertazione e alla condivisione; no all’accorpamento territoriale che significherebbe cancellare pezzi di storia e di identità, creare nuovi centri e nuove periferie con il rischio di spegnere lo spirito dei luoghi e di chi li abita.  Ma è evidente che occorre una nuova stagione del regionalismo, che ponga fine a quel “fai da te” delle regioni che non ha prodotto i risultati auspicati, soprattutto al Sud. Recuperiamo invece una logica di programmazione comune dove le vocazioni e le esigenze territoriali vengano messe a sistema in una logica di scambio ed arricchimento reciproco. Per certi versi la Basilicata lo sta già facendo. Penso al progetto Lu.Ca. attraverso il quale le film commission lucana e calabrese collaborano; o penso alla intesa sull’acqua con la Puglia oltre che con la Calabria. Intendiamoci: fare questo è molto più difficile che accorpare con un tratto di penna regioni confinanti. Ma è così che si costruisce una comunità di intenti, è così che si governa la complessità.

Il 17 gennaio alla presenza del Ministro De Vincenti si è riunito il  Comitato di indirizzo e controllo per la gestione del Patto per lo Sviluppo della Basilicata. Pensa che questi strumenti siano adatti e sufficientemente finanziati per affrontare le sfide che il Mezzogiorno ha di fronte a sé?

Ho da subito espresso un giudizio positivo sui Patti, perché inaugurano un metodo nuovo: consentono di migliorare la qualità dell’intervento, focalizzando e selezionando meglio le priorità (fuori dalla gabbia del localismo, che spesso è traditrice e miope, come dimostra il fallimento degli esperimenti di programmazione negoziata della seconda metà degli anni Novanta); consentono quindi di raggiungere un effetto-leva, o economie di scala, nell’utilizzo delle risorse finanziarie; realizzano quella proficua collaborazione Stato/Regioni di cui accennavo prima; consentono di mettere insieme la programmazione strategica, che richiede uno sguardo “dall’alto”, con le esigenze locali, che partono da spinte “bottom-up”, in un mix virtuoso in cui le scelte sono condivise e declinate al meglio, secondo le specificità locali. Quindi si allo strumento, che mette a sistema fondi già destinati. Ma il problema del Mezzogiorno non è quello delle risorse. Se lo sviluppo fosse una funzione lineare del finanziamento pubblico, oggi il Sud del Paese, con la fiumana di soldi pubblici ricevuta, sarebbe l’area più avanzata del pianeta. Il problema dello sviluppo si affronta dal basso, con una nuova stagione di spirito civico ed impegno, e dall’alto, con la qualità del disegno politico strategico e della progettazione tattica degli interventi. Credo siamo sulla strada giusta.

L’Industria 4.0 rappresenta l’integrazione delle nuove tecnologie produttive (robotica, IoT e big data) per migliorare le condizioni di lavoro, la qualità degli impianti e aumentarne così la produttività. Cosa può fare una regione in questo ambito? Come si pone la Regione Basilicata di fronte questa nuova sfida?

La accoglie ed anche con entusiasmo. La ‘digital transformation’ ci consente di giocare la partita della competitività ed abbiamo le infrastrutture immateriali e il capitale umano. La Basilicata si caratterizza per una rilevante presenza sul territorio regionale di produttori di conoscenza tecnico-scientifica. La Regione è impegnata attraverso la Smart specialitazion e bandi specifici per industria 4.0 a raccogliere e rilanciare la sfida della innovazione tecnologica e della ricerca.

Per il 2016 proprio lei indicò come priorità per la Basilicata il turismo e le start up. Può farci un bilancio su questi due importanti temi? Nel 2017 quali saranno le priorità programmatiche della Regione da lei guidata?

Bilancio positivo. Il turismo è in crescita con l’effetto traino di Matera 2019 e le buone iniziative intraprese a più livelli. Dal 2013, le presenze turistiche in regione sono cresciute del 23% circa, gli stranieri sono cresciuti di oltre il 33%, sempre in termini di presenze. E nel solo 2016, si è registrato un incremento del +5% rispetto all’anno precedente. Mentre, per quanto riguarda le nuove start up, nel solo 2016, ne sono nate 300 (nello specifico, 180 dal microcredito, 30 da incentivi sul lavoro autonomo e 80 dall’avviso sulle competitività). Scuola digitale, dissesto e tutela del patrimonio, efficientamento energetico e occupazione saranno le nostre priorità e parole d’ordine.

Ad ottobre è stato presentato il pacchetto agevolativo “CreOpportunità”, rivolto alla creazione ed allo sviluppo dell’imprenditorialità sul territorio regionale. A che punto siamo con quest’iniziativa?

Si tratta di un pacchetto di tre bandi per un investimento complessivo di ventidue milioni di euro. Sette milioni riguardano “Start And Go”, rivolto a micro e piccole imprese non ancora costituite o nate da non più di 12 mesi e per il quale sono pervenute già più di 50 candidature, 10 milioni per il bando “Go and Grow”, destinato a micro e medie imprese costituite da un minimo di 12 mesi ed un massimo di 60 mesi e 5 milioni sono destinati a liberi professionisti, associazioni e società di professionisti. Il primo sportello del Pacchetto è aperto fino al 13 marzo, il secondo chiude il 13 giugno, il terzo a settembre e l’ultimo il 29 dicembre. E’ una risposta alla crescente domanda di iniziativa privata e desiderio di autoimpiego che proviene dal territorio ma anche una visione strategica e un metodo che nascono da una concertazione tra la Regione Basilicata e le associazioni di categoria.

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