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Vi spiego il bubbone dei debiti della pubblica amministrazione

Banca padoan, evasione fiscale amministrazione, Pier Carlo Padoan, pIL

Il 14 febbraio la Commissione Ue ha ripreso in mano il dossier dei ritardati pagamenti della nostra pubblica amministrazione, preannunciando possibili significative sanzioni. Lo stesso giorno Radio Sole 24 Ore riportava la notizia che l’Alleanza delle Cooperative avrebbe dichiarato che, negli ultimi anni, i ritardati pagamenti avrebbero provocato la chiusura di circa 100.000 imprese.

C’è da chiedersi come mai, nonostante che il decreto legislativo n° 192 del 2012, preso in attuazione della Direttiva UE/7/2011, stabilisca che il pagamento delle fatture deve avvenire entro 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura e che gli interessi di mora (attualmente di 8,05% secondo i parametri stabiliti dalla stessa norma) decorrano senza necessità di costituzione in mora dal primo giorno successivo alla scadenza del pagamento, la piaga dei ritardati pagamenti della nostra pubblica amministrazione non si sia sanata. Per i tempi di pagamento dell’amministrazione, l’Italia è al ventottesimo posto nella UE (cioè ultima).

Il fatto è che, per sanare questo grave problema, non basta emanare un diktat: bisognerebbe indagare sulle cause che determinano questo grave problema e, poi, procedere alla eliminazione di tali cause. Tra queste cause ne va segnalata una che è generalmente sottovalutata, anche se probabilmente è la causa principale dei ritardati pagamenti. Si tratta della struttura stessa della nostra contabilità pubblica che, a mia conoscenza, presenta caratteristiche che non hanno eguali negli altri Paesi dell’Ue. In maniera particolare mi riferisco alla prima fase di quello che vorrei chiamare il “processo budgetario”, cioè alla fase che ovunque è considerata la fase della “stima delle entrate”. Tale fase da noi si chiama sibillinamente “accertamento”. Perché, nel gergo ritualistico della normativa che regola la nostra contabilità pubblica, la fase della stima delle entrate viene chiamata “accertamento”? La risposta è molto semplice: la previsione d’entrata viene definita “accertamento” perché la cifra prevista in entrata diventa ritualisticamente certa e può, quindi, essere stanziata, poi impegnata e infine liquidata, anche se tale cifra non esiste nella cassa. A questo punto ci sono due alternative: o la pubblica amministrazione procede al pagamento facendosi anticipare la cassa dal sistema bancario (quindi aumentando i costi finanziari), o la Pubblica Amministrazione attende, per pagare il bene o il servizio acquisito sul mercato, che il denaro sia effettivamente disponibile. Di solito si segue questa seconda via.

Qui si rammenta solo di sfuggita che questa prassi, non solo nuoce al mercato, ma è un vero brodo di cultura in cui si sviluppa il batterio della corruzione: l’imprenditore, in maniera particolare il piccolo imprenditore, con l’acqua alla gola dei debiti da saldare è disposto a fare molte cose, anche non lecite, pur di farsi pagare i suoi crediti con la pubblica amministrazione. Va qui anche accennato al fatto che la lotta all’evasione fiscale è resa molto opaca, quindi problematica, da questo malinteso “accertamento”, per cui la cifra dell’evasione accertata è solo una cifra stimata.

Che cosa si dovrebbe fare per evitare questo problema? Il fatto è che la nostra contabilità pubblica è prevalentemente di “competenza”, cioè una contabilità di tipo giuridico che ci dice quanto si ha il dovere di pagare e quanto si ha il diritto di riscuotere. La contabilità di cassa (cioè la registrazione dei flussi reali di entrata e di uscita) è molto meno costringente. Orbene nei Paesi nostri partners nella Ue la contabilità pubblica è esclusivamente di cassa (viene di solito definita contabilità cameralistica). È evidente che prima o poi dovremo prendere il toro per le corna e fare una vera e propria rivoluzione copernicana basando la nostra contabilità pubblica esclusivamente sulla cassa.

Passare ad un sistema di contabilità pubblica esclusivamente di cassa non è cosa di poco conto, sopra tutto perché un simile passaggio richiederebbe una redistribuzione delle responsabilità reali all’interno della macchina amministrativa. In maniera particolare i vari dirigenti dovrebbero tener sotto controllo, non solo lo stato di avanzamento dei propri progetti, ma anche l’andamento dei flussi finanziari. D’altra parte bisogna rassegnarsi al fatto che questa rivoluzione copernicana va realizzata, anche se metterla in pratica richiederà del tempo. Qui non posso fare a meno di chiedermi se la voragine del debito dell’amministrazione comunale di Roma avrebbe mai raggiunto i livelli che ha raggiunto se, anziché giocare sulle aspettative legali ad incassare, il Comune di Roma avesse dovuto fare i conti con i soldi realmente in cassa prima di poter prendere impegni di spesa.

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