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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, tutte le incognite tra Bce, Tesoro e Fondo Atlante

Atlante, Vicenza, Alessandro Penati

Mentre con le emissioni obbligazionarie la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, in procinto di convolare a nozze, cercano di risolvere il problema della liquidità, resta la questione della ricapitalizzazione. In attesa che la Banca centrale europea (Bce) sciolga il nodo sul fabbisogno di risorse complessivo dei due gruppi, l’incognita più rilevante è legata all’intervento pubblico, ormai certo: a quanto ammonterà? E permetterà all’attuale azionista di riferimento, il fondo Atlante, di restare al controllo delle banche venete?

I PROBLEMI DEL FONDO ATLANTE

Il numero uno di Atlante, Alessandro Penati, come sottolineato da Formiche.net del 21 febbraio, ancora nei giorni scorsi, aveva auspicato di continuare ad avere il controllo di Popolare di Vicenza e Veneto. Sì perché attraverso gli aumenti di capitale da 2,5 miliardi dell’anno scorso il fondo è diventato azionista di riferimento di entrambi i due gruppi con oltre il 99% ciascuno. E ora che è evidente che servono nuove risorse per le due banche, zavorrate soprattutto dai crediti deteriorati, e che almeno parte di queste risorse saranno pubbliche, non è detto che Atlante riesca a mantenere il controllo. Dipenderà soprattutto dall’ammanco di capitale che individuerà la Bce, il cui verdetto è considerato imminente.

FATICHE VANIFICATE

Se il fabbisogno di risorse dovesse essere fissato sopra i 5 miliardi di euro, cosa che appare possibile, Atlante potrebbe non riuscire a mantenere il controllo. E questo perché i soldi rimasti in cassa al fondo sono pochi e il tanto atteso Atlante 2 stenta a prendere forma. Se così fosse, le grandi fatiche del 2016 del fondo guidato da Penati, consistite prevalentemente nell’acquisizione delle stesse banche venete per 2,5 miliardi, sarebbero in un certo senso vanificate. Giova anche ricordare da dove erano arrivati quei 2,5 miliardi: principalmente da Intesa Sanpaolo e Unicredit, ossia le due banche che si erano inizialmente dette disponibili a garantire gli aumenti di capitale dei due gruppi salvo poi fare un passo indietro (e lasciare ad Atlante la patata bollente). Le stesse due banche, inoltre, con la svalutazione della partecipazione che tanto ha fatto innervosire Penati, sembra quasi abbiano abbandonato il fondo al proprio destino.

IL BURDEN SHARING

Se quindi Atlante non dovesse essere in grado di fare fronte da solo alla ricapitalizzazione, entrerà in scena lo Stato, sulla falsa riga di quel che sta accandendo al Monte dei Paschi di Siena. E le regole europee impongono che l’intervento pubblico segua la conversione in azioni delle obbligazioni subordinate, il cosiddetto burden sharing. In ballo ci sono circa 1,2 miliardi di euro, suddivisi in 1 miliardo in mano a investitori istituzionali e 200 milioni in mano a piccoli investitori (che dovrebbero in qualche modo essere poi ristorati, proprio come avverrà con Mps). Proprio in quest’ottica, nel frattempo, l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha confermato il rating di Veneto Banca a ‘B/B’ con outlook negativo ma ha abbassato i rating degli strumenti ibridi, ossia delle obbligazioni subordinate, a ‘C’. “Alla base del giudizio di S&P – spiega una nota dell’istituto di credito di Montebelluna – la maggiore probabilità dell’attivazione del supporto governativo alla ricapitalizzazione della banca”. Più che una probabilità, sembra ormai una certezza.

I COLLOCAMENTI

Nei giorni scorsi, invece, si è chiuso il collocamento delle obbligazioni della Popolare di Vicenza da 1,25 miliardi necessarie per reperire liquidità. L’operazione, assistita da garanzia pubblica, ha riscosso un buon successo, perché pare che la domanda degli investitori (solo istituzionali) sia stata pari a 2,5 miliardi. E oggi Veneto Banca ha collocato sul mercato obbligazioni garantite dallo Stato per un controvalore di 1,35 miliardi di euro, a fronte di richieste pari a circa 3,4 miliardi di euro. Le buone notizie, però, sembrano essere già finite. Tra quelle meno buone c’è anche l’apparente insuccesso dell’offerta di rimborso in corso rivolta ai piccoli azionisti residuali delle due banche, quelli cioè quasi azzerati dall’ingresso di Atlante nel capitale. Le adesioni sembrano essere basse e lontane da quella soglia dell’80% che si sono prefissati i vertici delle due banche. E senza il successo dell’offerta resta il nodo delle cause legali, una mina che vale qualche centinaio di milioni e che potrebbe esplodere.

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