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Cosa si dice di Trump e fake news nel salotto di Allea

Allea, Beulcke

Il salotto è il solito di Allea, sulle comode poltrone di via Benedetto Marcello siedono questa volta il giornalista e comunicatore James Hansen di Hansen Worldwide, Alessandro Plateroti, vicedirettore de Il Sole 24 ore, e Christian Rocca, direttore della rivista IL. Di che cosa possono parlare un cittadino con passaporto statunitense, un italiano prossimo alla (ri)partenza per gli Usa e un esperto di elezioni americane? Ovviamente di Donald Trump – che mai come in questo periodo non ha bisogno di presentazione – della sua ascesa alla Casa Bianca e di quello che accadrà in futuro, se davvero il Presidente degli Stati Uniti mantenesse tutte le promesse fatte nei mesi scorsi.

TRUMP VISTO CON GLI OCCHI DI UN AMERICANO

“Non ho potuto votare per Donald Trump perché personalmente mi fa senso, il mio augurio davanti ai due candidati era che perdessero entrambi. Non ho votato, nonostante abbia sempre esercitato questo diritto come fosse un valore religioso” ha esordito così James Hansen, giornalista e comunicatore, che ha aggiunto: “Mi aspettavo che vincesse Hillary Clinton, con un margine ristretto però. Da quello che mi dicevano parenti e amici che vivono in America, intuivo ci fosse poca fiducia anche nei suoi confronti”. Poi, si è soffermato velocemente sull’aspetto geografico della concentrazione dei voti: “Gli USA sono governati politicamente ed economicamente dalle due coste (dove Hillary è stata più votata). Questo vuol dire che la gente non sopporta chi la governa”. In tanti sostengono che Trump abbia vinto perché il sistema elettorale americano è ormai obsoleto. “Il sistema elettorale americano nasce per servire uno stato federalista, lo scopo di questo meccanismo è di dare una correttiva alla dominazione di pochi stati che hanno una grande popolazione. È quindi per garantire una rappresentanza geografica. I dubbi su questo meccanismo di voto che è stato efficace per un paio di secoli vengono da chi ne è vittima. È successo già molte volte che a vincere fosse il candidato che non è stato il più votato. Il sistema è servito per tenere insieme la baracca. Comunque vada a finire questa storia di Trump cambierà la storia democratica americana” ha spiegato ancora Hansen. Ma chi è Trump per chi è americano? E soprattutto, perché ha vinto? “Donald Trump è lo stronzo newyorkese che in tanti mal sopportano, nonostante ciò tanti di questi hanno votato per lui, pur di sputare in faccia ai Clinton”. E ancora: “Al momento i tre grandi centri di potere (la stampa, la burocrazia e l’intelligence) rifiutano questo risultato elettorale. Il NYTimes accenna a un impeachment ma non ha ancora trovato ‘la pistola fumante’”. C’è da dire a questo punto che negli Usa non vige un sistema parlamentare: se il presidente venisse destituito, al suo posto arriverebbe il vicepresidente Mike Pence “che sta più a destra di Attila l’Unno” ha scherzato Hansen. E a chi si preoccupa delle conseguenze che questa elezione può portare, l’analista e curatore della Nota diplomatica assicura: “Gli Usa potrebbero non soffrire molto della paralizzazione del sistema di governo: ci sono studi che dimostrano che l’economia americana funziona meglio quando il sistema si paralizza”.

COMUNICAZIONE E FAKE NEWS

“Chiariamo subito che non le ha inventate Trump, non diamogli meriti che non ha” ha detto sornione Hansen che ha continuato: “Prima si leggevano sui giornali, ora si leggono sulla Rete, questa è l’unica differenza. La storia di Trump sta facendo un gran bene ai conti delle grandi testate in termini di abbonamenti (i mezzi tradizionali hanno guadagnato molto dalle incertezze che girano intorno a Trump)”. Ma chi decide cosa è fake e cosa non lo è? Una cosa sgradita è fake? “I giornali non scrivono che il livello di gradimento di Trump è cresciuto in questi primi mesi. Dice spacconate è vero, ma sta facendo quello che aveva detto in campagna elettorale e il popolino è meravigliato da questa cosa. Sta piacendo ai suoi elettori e ai loro simili” ha aggiunto ancora Hansen. La politica trumpiana è basata sul populismo? Addirittura Cambridge Analitics ha fatto una campagna ad hoc ritagliando degli slogan quasi ad personam. Quindi sulla base di quello che la gente vuole sentirsi dire? “Ma populismo in teoria dovrebbe voler dire: ascoltare il popolo, essere popolare cioè gradito”. E’ la degenerazione il problema. Ha precisato poi Hansen: “Temo che questo strano animale come presidente ce lo dobbiamo tenere quello che mi consola è che prima di lui c’è stato qualcuno che era peggio”.

POLITICA ESTERA

Che cosa pensa Trump dell’accordo con l’Iran? Che cosa vuole fare con Taiwan? “Sarebbe bello saperlo, se solo lui lo sapesse” ha detto ancora Hansen: “La conduzione della politica estera degli Stati Uniti non può essere con una guida sportiva perché quando noi sterziamo gli altri sbandano e si ammazzano e se noi dobbiamo andare a difendere loro, ammazzano anche noi.  Il popolino non era più d’accordo su come stavano andando le cose (la presenza degli Usa in Medio Oriente pesa: più o meno tutti i paeselli americani hanno perso almeno uno in quei conflitti. Non siamo ai livelli del Vietnam ma c’è malumore. L’idea del lasciamo che si ammazzino tra di loro che è un idea stupida naïf ha avuto grande presa”. Infine un accenno alla finanza. “I livelli della borsa sono schizzati: bene, ma la borsa pensa oggi a come guadagnare domani. Non guarda al lungo periodo” ha concluso.

EFFETTO TRUMP ANCHE SULLA BORSA?

Di finanza ha parlato anche Alessandro Plateroti che prima di iniziare ha spiegato: “Non sono un trumpiano ma lo difendo dal punto di vista istituzionale. E’ stato eletto, è lui il Presidente”. Anche un po’ il suo, visto che ha spiegato di essere in procinto di tornare negli States per lavoro. E’ merito di Trump la risalita della borsa? Partiamo da questa domanda e riferiamoci a quanto si diceva qualche giorno prima del voto in America. Ve lo ricordate il tormentone: “Se vince Trump la borsa crolla?”. “Quelle erano solo chiacchiere” ha esordito sull’argomento il vicedirettore del Sole 24 ore che poi ha aggiunto: “Facciamo un analisi. Con Obama la crescita era stata del 16 per cento. Straordinario. La seconda migliore performance negli otto anni dopo quello di Clinton. Tra i due c’era Bush che ha segnato uno dei periodi peggiori. Le decisioni politiche hanno un impatto settoriale quello che fa la differenza è la liquidità sul mercato e il loro costo. Obama, a due settimane dalla sua elezione, assiste al peggiore crollo della storia dagli anni Ottanta. Poi la risalita è stata fisiologica con un’importante manovra di stimolo fiscale. La borsa oggi non sta salendo per Trump glielo stiamo attribuendo noi”. Poi, un link alla politica messa in atto dal neo presidente: “Ha fatto una campagna elettorale sui diritti a cui noi abbiamo rinunciato. E adesso cosa sta facendo? Sta portando avanti le promesse elettorali sapendo che in certe cose ha le mani legate e diventando così il martire di fronte agli occhi di chi lo ha votato”. Il paragone esemplificativo è Silvio Berlusconi che “di recente ha manifestato la volontà di ricandidarsi. Lo diceva solo perché sapeva che qualcuno lo avrebbe fermato. Trump è un tassello in un quadro di problematiche molto più ampie”. Ha concluso: “Mi piace molto questa fase storica, perché è ricca di novità”.

MEGLIO LO SHOWMAN DEL POLITICO

Infine, a dire la sua è arrivato anche Christian Rocca che ha subito chiarito: “La penso in maniera opposta rispetto a Plateroti, questo è il bello del Sole 24 ore. Trump? Non si capisce neanche lui. Chi ha studiato scientificamente le elezioni americane, non solo queste ma anche quelle precedenti, non aveva previsto la sua vittoria. Non è scemo, ma neanche così sottile: sta facendo degli errori madornali”. E secondo Rocca anche i giornalisti ne stanno commettendoprendendo alla lettera quello che lui dice. Chi lo ha votato ha capito che non bisogna credergli al cento per cento, perché l’obiettivo è solo quello di rompere lo schema tradizionale. Ci è riuscito con la sua elezione e, probabilmente, continuerà a farlo”. Se gli altri interlocutori erano più fiduciosi nei confronti dell’operato dell’ex showman, il direttore di IL è apparso preoccupato: “In queste prime settimane di presidenza lui sta facendo un disastro, ha fatto il truffatore, è un cialtrone in chief. Il problema di Trump è che tutti gli analisti prima della sua elezione hanno detto di non voler lavorare con lui, non perché non sono d’accordo con quello che dice, ma perché lui si contraddice nella stessa frase. Non si è circondato di gente all’altezza. Non ha una classe dirigente”. Il paragone questa volta va oltre il Cavaliere.Non c’entra nulla con Berlusconi, in confronto Silvio è Eisenhower o Churchill. E’ uno statista. E’ come Grillo. Uno showman prestato alla politica”. Così è scattato il racconto personale: “L’ho seguito in alcuni suoi comizi. E’ stato abbastanza sconvolgente: solitamente nel corso delle campagne elettorali americani i candidati vanno nei piccoli centri, nelle scuole, nelle chiese e fanno 60-70 incontri in una giornata muovendosi nei piccoli paesini, poi c’è una forte presenza degli spot televisivi e di cartelloni affissi in giro. Bene, tutto ciò c’era per tutti i candidati tranne che per Trump. Niente spot televisivi né cartelloni, organizzava un incontro-comizio ogni 5 giorni in una località sperduta: i giornalisti stranieri non potevano entrare – io mi fingevo supporter di Trump – e quelli americani li mettevano in una gabbia contro la quale lui imprecava. Di fronte a lui c’erano platee di 10-15 mila persone. Non parlava mai di policy perché non aveva un progetto politico. E quindi? Perché ha avuto presa sulla gente? Perché se tu vai in Ohio, a febbraio, con -30°, dove non c’è nulla arrivi e fai divertire la gente, scherzi e ridi: hai presa sulla gente. E’ il passato da showman a convincerli non il progetto politico. L’ultima battuta è per Plateroti: “E’ meglio di Grillo perché ha capito che per rompere il sistema ci devi stare dentro e così non si è creato il suo partito ma è andato con i repubblicani, usando la carta dell’inclusività che è stata quella vincente”.

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