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Matteo Renzi, Giulio Andreotti e la differente saggezza politica di Pd e Dc

Il VI Governo Andreotti fu il quarantasettesimo della Repubblica Italiana, rimase in carica dal 23 luglio 1989 al 13 aprile 1991. A novembre 1989 il Muro crollò a Berlino, la Germania tornò ad essere una, dopo la fine del regime comunista sovietico. L’Occidente esultava. Anche l’Italia era soddisfatta per lo storico evento. Forze politiche cercarono di convincere Giulio Andreotti e la DC di fissare a maggio 1990 la data delle elezioni politiche, in contemporanea con quelle regionali, già fissate, per dare un colpo mortale al PCI ormai in crisi di identità.

Andreotti e gli altri leader democristiani non si mostrarono entusiasti verso la richiesta dei partiti alleati. Non avevano alcuna intenzione di mortificare gli oppositori comunisti, pur sempre una larga forza politica democratica. Lo Scudocrociato avrebbe tratto grande vantaggio, se avesse adottato la strategia cinica, andando a votare prima, per il rinnovo del Parlamento. Come sempre, antepose gli interessi del Paese a quelli della ditta, come si dice oggi. Infatti, le elezioni politiche si tennero a scadenza naturale: primavera del 1992.

La scelta costò tantissimo alla DC, che dovette pagare in seguito prezzi altissimi, ironia della sorte, fino alla scomparsa dalle aule parlamentari. Regole non scritte consentivano a espressioni diverse e/o opposte di riconoscersi e di rispettarsi, secondo un galateo etico. Era questa la nobile peculiarità di chi, dotato di cultura politica e di governo, cercava sempre di non mortificare l’avversario, ma soprattutto di garantire la governabilità e la stabilità del sistema.

Renzi, al contrario di tante figure della società civile che si sono manifestate e poi svanite come meteore, potrebbe essere una buona speranza per la politica italiana, se fosse dotato della capacità di dare prove di sintesi e di saggezza politica.

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