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Virginia Raggi, Enrico Mentana, Beppe Grillo e Cappuccetto Rosso

Ferma su quella sedia o poltroncina, con una bella camicetta rossa che risaltava sotto un abito nero, truccata a dovere perché non ci fosse traccia alcuna della stanchezza procuratale il giorno prima da ben otto ore d’interrogatorio giudiziario, durante le quali sarebbe pure “svenuta”, secondo un titolo del Fatto Quotidiano, la sindaca di Roma Virginia Raggi sembrava un po’ Cappuccetto rosso nello studio televisivo di Enrico Mentana, a la 7.

D’altronde, l’avventura in Campidoglio della sindaca grillina sembra spesso un’edizione aggiornata della favola, appunto, di Cappuccetto rosso, che si avventura nel bosco per portare da bere e da mangiare alla nonna – nel nostro caso la povera, malandatissima cittadinanza romana – e non si accorge della furbizia e malvagità del lupo. Cui non dico che possa assomigliare Beppe Grillo, per carità, pur con tutta quella chioma che fa della sua faccia un unicum. Al lupo piuttosto viene da pensare allungando lo sguardo su certi compagni di partito ed ex collaboratori della sindaca, dimostratasi quanto meno poco avveduta nell’individuarli già prima dell’elezione e nell’assumerli dopo.

Tutto comunque è bene quel che finisce bene, almeno per quanto riguarda la vicenda delle polizze di assicurazione stipulate a favore della Raggi per ragioni di dichiarata simpatia e amicizia – senza storie sentimentali, è stato precisato – da quel Salvatore Romeo diventato poi capo della sua segreteria. Col quale la sindaca soleva, fra l’altro, godersi lo spettacolo di Roma dai tetti del Campidoglio mangiando panini. E casualmente sfuggendo anche al rischio di intercettazioni, che ad ogni buon conto la Procura di Roma ha assicurato di non avere mai disposto a carico della sindaca. Potevano forse essere altri ad avere interesse a spiarla.

I pubblici ministeri hanno comunque già accertato, e comunicato, che la faccenda delle polizze, per quanto curiosa, “non ha rilevanza penale” nelle indagini in corso sulla sindaca per altre cose, in particolare per abuso d’ufficio e falso nella nomina –poi revocata- alla guida del Dipartimento del Turismo capitolino di Salvatore Marra, fratello di Raffaele, allora capo del personale e da dicembre in carcere per vicende di presunta corruzione risalenti all’amministrazione precedente.

Benissimo. La generosità di Romeo, che sembra preso in prestito nella immaginazione collettiva dal teatro di William Shakespeare, ha infastidito ma non danneggiato irreparabilmente l’inconsapevole sindaca di Roma.  Che, in attesa di verificare col solito sistema dei sondaggi la fiducia dei suoi elettori, si è accontentata di sentirsi confermata quella di “Beppe”, come lei chiama il capo del suo Movimento. Col quale, se sono vere certe cronache giudiziarie delle quali personalmente dovrei diffidare, non credendo che i pubblici ministeri siano di solito così tolleranti con gli indagati, la Raggi ha tenuto a parlare per telefono anche nelle pause del lunghissimo interrogatorio negli uffici periferici a disposizione della Procura della Repubblica di Roma.

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Immagino – per inciso – con quanto rimpianto o invidia abbiano seguito e seguano queste cronache giudiziarie, o pseudo-giudiziarie, i reduci della cosiddetta Prima Repubblica, più in particolare quelli dei partiti letteralmente travolti dalle indagini di 25 anni fa sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione o concussione che, secondo gli inquirenti, di solito l’accompagnavano. Ah, come si sarebbe sviluppata e conclusa in ben altro modo la storia delle cosiddette Mani pulite se quei partiti avessero avuto alla loro testa uomini forti come Beppe Grillo, capaci di andare controcorrente, e di modificare statuti o cosiddetti codici di comportamento secondo le circostanze. Ma soprattutto capaci di gridare all’occorrenza qualche vaffanculo – scusate la parolaccia – anche contro qualche magistrato troppo pignolo, che non vuole fare differenza, per esempio, tra una firma copiata e una firma falsa. E’ accaduto, in particolare, a Palermo con le liste pentastellate.

So che a Grillo una simile interpretazione della sua “forza” –concetto a lui molto caro, visto l’apprezzamento da lui mostrato per Donald Trump e Vladimir Putin, accomunati appunto da un forte temperamento- non piace per niente. La sola idea di essere accomunato o in qualche modo associato agli anni di Tangentopoli lo fa rabbrividire. Ma i fatti sono più forti degli umori. Adesso come allora accade alla politica, anche a quella gestita e rappresentata dai grillini, di incrociarsi con la magistratura.

Ma adesso come allora accade anche che a questi incroci si trovino puntualmente cronisti giudiziari a proposito dei quali uno che s’intende bene di queste cose come l’ex magistrato Luciano Violante, già presidente della Camera, e capo di quello che, a torto o a ragione, venne chiamato “il partito dei giudici”, dice da qualche tempo che sarebbe arrivato il momento di intervenire per separarne le carriere da quelle dei pubblici ministeri. E qui veniamo ad un punto tanto importante quanto inquietante dell’ultima vicenda Raggi: quella delle polizze di assicurazione anticipata con diabolica coincidenza proprio nel giorno dell’interrogatorio giudiziario della sindaca dal Fatto Quotidiano e dall’Espresso. Che hanno potuto indiscutibilmente avvalersi della solita, tempestiva fuga di notizie. Sulla quale sarei curioso di sapere se c’è qualcuno nella Procura della Repubblica di Roma che stia indagando, anche se so bene che da indagini di questo tipo si esce generalmente con niente di fatto.

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In ogni caso, un effetto quella più o meno provvidenziale fuga di notizie l’ha procurato a vantaggio della Raggi.

Per 24 o 48 ore, come preferite, la storia delle polizze è prevalsa mediaticamente su quella delle nomine costata l’invito a comparire alla sindaca di Roma. E’ stata una storia posticcia, uscita ad orologeria, diciamo così, dagli incartamenti della Procura, per allungare sulla Raggi altre ombre. Che poi la stessa Procura ha dissipato certificandone la irrilevanza penale, e creando l’impressione, volente o nolente, di una povera donna presa troppo di mira.

E’ proprio a questo punto che la sindaca di Roma ha potuto portare a casa il sollievo di “Beppe”, e non solo di lui. Resta certamente aperta l’altra faccenda, quella della nomina del fratello di Raffaele Marra e chissà che altro, ma ormai chi ne parla più, a dispetto delle ben otto ore di durata dell’interrogatorio giudiziario della sindaca? Non ne parla praticamente più nessuno. O ne parlano solo gli addetti ai lavori, fra i quali qualcuno ha già scritto ironicamente, a difesa della Raggi, che la signora potrebbe anche prendersi il gusto sarcastico di fare il bel gesto delle dimissioni “per non aver commesso il fatto”. A scriverlo è stato Travaglio, il direttore del giornale che ha condiviso col già citato Espresso lo scoop delle polizze risoltosi in una bolla di sapone. Ah, che spettacolo.

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