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Russia e Turchia si stanno allontanando?

idlib

Oggi, giovedì 16 febbraio, riprendono ad Astana i negoziati di pace per la guerra in Siria. Gli incontri nella capitale del Kazakistan sono promossi da Russia, Iran e Turchia. Ma su questa troika siriana, formatesi un paio di mesi fa, pesa il rischio di un deterioramento del rapporto turco-russo. L’inizio dei colloqui, per esempio, è stato posticipato di un giorno perché russi e turchi non si mettevano d’accordo sull’agenda. La Turchia vuole che si parli esclusivamente del prolungamento dell’attuale cessate il fuoco (è la linea dei ribelli, che denunciano continue violazioni governative e per questo hanno minacciato di boicottare l’incontro), la Russia vuole già mettere i paletti per avviare il percorso della soluzione politica. Le differenze ci sono, sono importanti, e ruotano fondamentalmente sui ruoli di coloro che prenderanno parte al processo di transizione (ci sarà anche Bashar el Assad?).

Giovedì 9 febbraio un bombardamento aereo ha ucciso tre militari turchi al nord della Siria, nell’area di Al Bab. Erano membri del contingente che sotto la missione Scudo dell’Eufrate sta spingendo lo Stato islamico fuori da quella fetta di territorio. A colpire è stato un aereo russo, per errore è la linea ufficiale. Mosca sta fornendo due tipi di sostegno alla missione di Ankara al nord della Siria: l’appoggio aereo, e il peso politico nel tenere fermo il regime siriano che si vede entrare nel proprio territorio i soldati di un governo nemico (i gruppi di combattenti si guardano in cagnesco da vicino, e ogni tanto ci scappa anche qualche colpo, tanto che alla fine è stato necessario mediare una linea di demarcazione per evitare sovrapposizioni di forze).

La vicenda di giovedì è stata “un incidente” ha detto il governo turco. Dal lato russo invece non è mai stata riportata la parola “incidente” nei comunicati, e nemmeno indicata espressamente qualche forma di rammarico, c’erano le condoglianze del presidente Vladimir Putin però. Il giorno seguente il bombardamento un’altra dichiarazione russa ha spiegato che la vicenda è avvenuta per un errore di comunicazione tra i soldati a terra e il comando aereo: errore imputabile, per Mosca, esclusivamente ai turchi. Si erano spinti dove non dovevano, ha spiegato ai media il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Replica a stretto giro turca: siamo lì da dieci giorni.

La vicenda è avvenuta nello stesso giorno della visita del direttore della Cia Mike Pompeo ad Ankara. La visita era il seguito (evidentemente organizzato già prima, però) di una conversazione telefonica avuta dal presidente americano Donald Trump con l’omologo Recep Tayyp Erdogan. Risultato dei contatti: la Turchia rinnovava l’impegno americano al proprio fianco e pronosticava una stagione florida nelle relazioni e nei lavori congiunti. Dichiarazioni uscite unilateralmente dal Bosforo, mentre a Washington c’è stato un approccio con una pragmatica molto diplomatica: sono alleati, alleati Nato e paese strategico, ricordava la nota ufficiale della Casa Bianca, ma niente sul futuro a braccetto annunciato da Erdogan.

Da qui una considerazione velenosa: non è che Mosca con quel bombardamento per errore al nord della Siria abbia voluto mandare un messaggio ai turchi? Qualcosa che suona tipo: voi avete scelto la Russia come interlocutore (vedi il processo di Astana per la crisi siriana, per esempio), abbiamo riavviato i rapporti dopo il disastro del Sukhoi di un anno fa, vi stiamo coprendo le spalle sulle vostre iniziative in Siria, però dovete rispettare gli equilibri di forza e non avvicinarvi troppo agli americani (che tra l’altro fino a qualche mese fa detestavate perché non vi erano abbastanza vicini). Sono argomenti avanzati nelle supposizioni degli analisti, ma la traiettoria turca è da seguire per le relazioni tra Russia e Stati Uniti.

Altro tassello del puzzle “La Russia sta facendo capire alla Turchia chi comanda nella partnership?”. Lo stesso giorno dell’episodio di fuoco amico, la Russia ha chiesto l’inclusione dei curdi siriani ai tavoli negoziali per la pace siriana che riprenderanno il giovedì 23 febbraio a Ginevra definendoli una voce importante nel dialogo intra-siriano. Il ministero degli Esteri russo ha detto che da tempo sta lavorando per avvicinare il governo (il regime di cui Mosca è uno dei pochi sponsor diplomatici) e i separatisti del nord: ci sono già stati quattro round di colloqui, “diretti e indiretti”, tra giugno e dicembre del 2016, spiegano i russi, e l’inclusione è matura. La posizione assunta da Mosca è uno schiaffo diplomatico alla Turchia, che considera i curdi siriani un gruppo terroristico perché alleato del Pkk.

Il direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexander Botsan-Kharchenko, ha sottolineato sulla russa Ria, e subito ripreso dalla versione in turco del media del Cremlino Sputnik, che la Russia non vede i curdi siriani come terroristi. Il diplomatico russo due giorni fa ha detto che tra Turchia e Russia ci sono ancora molte differenze.

I combattenti delle Ypg curde sono la componente predominante nella milizie Sdf che stanno chiudendo l’assedio della roccaforte baghdadista siriana Raqqa, accompagnati dall’appoggio terrestre, tattico e aereo degli Stati Uniti; questa partnership ha messo in discussioni il rapporti Ankara-Washington nei mesi passati, e Erdogan spera di superarla con quella rinnovata relazione che propaganda, ma il rischio per i turchi è che gli Stati Uniti seguano i propri interessi e la Russia getti il suo peso politico per tagliarli fuori. Il 15 novembre una conferenza pan-curda si è tenuta a Mosca, e hanno partecipato anche i rappresentati del Pyd, il lato politico dei curdi siriani. Durante la visita in Bahrein Erdogan ha detto che dopo Al Bab il prossimo obiettivo della missione scudo è Manbij, che una città ad ovest dell’Eufrate (la linea rossa naturale che i turchi vorrebbero imporre ai curdi siriani). Le Ypg hanno conquistato Manbij con l’appoggio delle forze speciali americane, che si sono fatte fotografare dai reporter sul posto. Difficile che possa essere un obiettivo credibile.

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