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Chi favorirà (e chi sfavorirà) la politica economica di Donald Trump

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Blocco del TTP, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Asia voluto da Obama e mai ratificato dal Parlamento; abolizione dei finanziamenti federali per le Ong che promuovono o difendono il diritto all’aborto; congelamento delle assunzioni nel settore pubblico, escluso l’esercito. Ridimensionamento dell’Obamacare. Costruzione del muro al confine con il Messico e sospensione dell’ingresso in Usa per i rifugiati. E rilancio di due grandi oleodotti, il Keystone XL, che trasporta greggio pesante dal Canada alle raffinerie del Golfo del Messico, e il Dakota Accessl che parte dai giacimenti nel North Dakota e arriva al centro di stoccaggio in Illinois.
Donald Trump sta tenendo fede agli impegni presi con i cittadini Usa e uno dopo l’altro sta emendando decreti esecutivi che rimarchino forte la sua linea politica. Con quali effetti sui titoli in Borsa? Proviamo a scoprirlo.

IL RUMORE DI FONDO
“Sarebbe necessario innanzitutto separare il segnale dal rumore di fondo – dice Brad Tank, Chief Investment Officer Fixed Income di Neuberger Berman – Come durante le elezioni, abbiamo visto moltissime notizie deboli sul piano dei fatti e forti su quello delle opinioni. Mettiamoci anche un neo presidente che pensa ad alta voce in tempo reale e la realtà di doversi muovere in un mondo con un segnale/rumore molto debole per il futuro più prossimo. Cosa può fare un investitore? Per prima cosa, concentrarsi sui fatti importanti ed adottare un metodo per ignorare il rumore”. Un’attività che richiede molta concentrazione. “Parte della sfida – continua Tank – è rappresentata dal fatto che le proposte della nuova amministrazione sono molto ambiziose e riguardano riforme sostanziali, dal sistema fiscale, al ruolo dello Stato nella sanità e all’immigrazione tra l’altro”. Una volta separato il rumore di fondo dai fatti, si potranno prendere uno alla volta e analizzare i possibili impatti sui mercati.

OTTIMISMO GENERALIZZATO
In generale, alla vigilia dell’insediamento di Trump, secondo l’UBS Investor Watch, un’indagine su un campione di oltre 2000 investitori americani High Net – HNWI di UBS Wealth Management dal giugno 2016 si è impennato l’ottimismo degli investitori che prevedono condizioni di business e un contesto normativo più “friendly” oltre che una semplificazione del processo legislativo. L’ottimismo degli investitori è salito di quasi 20 punti percentuali dalle elezioni (rispetto al 39% del periodo pre-elettorale e al 58% di quello post-elettorale sostenendo che le prospettive economiche siano migliorate). Sul mercato azionario, il 68% degli investitori si aspettano forti rendimenti contro il 25% pre-elettorale.
“I primi dati dell’era Trump – dice a Formiche.net Giordano Beani, CIO di Amundi SGR – mostrano uno spostamento da obbligazioni ad azioni da parte degli investitori istituzionali, che verosimilmente dovrebbe proseguire”. “A partire dall’elezione di Trump – conferma Fabrizio Santin, Portfolio Manager di Pictet Asset Management – i flussi sono tornati decisamente positivi sull’azionario USA mentre in Europa i deflussi azionari seguiti alla Brexit si sono arrestati. I perdenti di questa fase sono stati ovviamente obbligazioni (con deflussi importanti dai governativi per il timore del rialzo dei rendimenti) ed emergenti. A livello settoriale i titoli ciclici (banche, industriali, materie prime) sono stati preferiti ai settori più difensivi (utilities, telecom) e stili di investimento azionari (ad esempio ETF azionari low volatility). La sottoperformance del fattore value rispetto al growth dura da diversi anni e pertanto, qualora il movimento reflazionistico sull’economia dovesse trovare conferma, i margini di recupero sono abbondanti. Ora l’incertezza relativa alla Trump-nomics è alta. In attesa di conoscere i dettagli del suo programma di politica economica e del suo approccio ai temi caldi di politica estera, riteniamo le che attuali valutazioni azionarie scontino già buona parte della ricetta economica di Trump. Abbiamo, inoltre, una preoccupazione diffusa sul fronte dell’impatto che la nuova amministrazione americana avrà a livello geopolitico. Il timore è che, dopo una breve luna di miele con i mercati, ci possa essere un risveglio brusco e doloroso. Questo giustifica in buona misura la nostra prudenza nelle scelte di portafoglio a inizio 2017”.

LA (VERA) AGENDA TRUMP PER IL 2017
“Innanzitutto, molte delle modifiche alla precedente amministrazione Obama che il Presidente Trump e i Repubblicani vogliono apportare nel 2017 sono complesse e richiedono molto tempo – dice Libby Cantrill, Responsabile Public Policy di PIMCO – pur avendo la maggioranza in entrambe le Camere del Congresso. Per questo è verosimile che alcuni punti nell’agenda di Trump possano perciò slittare al 2018”.
“L’agenda dell’amministrazione Trump è ancora incerta e la capacità di implementare alcune delle riforme promesse in occasione della candidatura presidenziale è soggetta alla volontà del Congresso di appoggiarle – conferma anche Nuno Teiexeira, Head of Institutional and Retail Solutions di Natixis Asset Management – Nel 2017 l’impatto positivo sull’economia americana della riduzione della tasse e dei programmi relativi alle infrastrutture non dovrebbe superare lo 0,25% del Pil americano ed è improbabile che l’amministrazione Trump assicuri un livello di crescita superiore al potenziale di crescita per un periodo di tempo sostenibile senza generare inflazione. In questo momento siamo, pertanto, abbastanza neutrali sull’azionario americano preferendo monitorare la situazione fino a quando non avremo a disposizione maggiori dettagli sull’agenda politica di Trump”.

LE TASSE
Insomma, molto dipenderà da quello che effettivamente avverrà alla fine, da quanto segnale si staccherà dal rumore di fondo. Una riforma molto importante che Trump ha promesso è quella fiscale per rendere il Paese più competitivo ed è in generale “quella che avrà il maggior impatto su azionario e obbligazionario”, secondo Tank.
“Peccato non ci sia accordo tra repubblicani e presidente su come attuarla – continua Cantrill – I Repubblicani in Congresso vogliono realizzare una riforma fiscale per individui e imprese, mentre Trump punta sul taglio delle tasse. La prima soluzione è senza dubbio più complessa ma a questo punto del ciclo è anche l’unica che può portare reali miglioramenti nella produttività e nella crescita economica sostenibile: molto difficile che sarà conclusa come il mercato si aspetta, entro il 2017”. La disponibilità di maggiore cassa, sottratta alle tasse, darà alle imprese fiato per investire: e si aprirà probabilmente un’ondata di M&A, almeno secondo gli analisti. Ondata che si propagherà su diversi settori, le cui prede diventeranno appetibili anche sul listino.

LE INFRASTRUTTURE
“Anche se questo è un argomento che il presidente eletto Trump ha discusso spesso durante la campagna elettorale ed è anche uno di quelli per cui vi è generalmente sostegno bipartisan, Trump ha fornito pochi dettagli – spiega Cantrill, di Pimco – e il diavolo è nei dettagli. Dato l’ambivalenza di molti repubblicani rispetto agli aumenti della spesa non destinata alla difesa, Trump potrebbe aver bisogno dei Democratici perché passi un disegno di legge sulle infrastrutture, che quindi rischia di traslare al 2018”. In ogni caso il piano di Donald Trump per le infrastrutture prevede 500 miliardi di spesa che, secondo la società di investimento RARE Infrastructure si tradurrà in un incremento del Pil di circa lo 0,5%. Ne beneficeranno tutte le società cementiere, anche europee che hanno operazioni in Usa, come Buzzi Unicem, la tedesca HeidelbergCement e la francese Lafarge. E anche i costruttori di pipeline, visto il ritorno preconizzato all’economia fossile. Lo abbiamo scritto all’inizio: Trump ha firmato come urgenti due decreti per la ripresa della costruzione di due oleodotti molto controversi. Di questo si avvantaggeranno sia le società petrolifere che vedranno cadere le barriere all’esplorazione grazie agli investimenti in nuovi impianti, sia i costruttori – non solo Usa. In prima linea ci sono nomi come Occidental Petroleum, Chevron, Pioneer Natural Resources, ConocoPhillips pronte ai blocchi di partenza per aumentare la produzione.

IL COMMERCIO
“La Casa Bianca ha una notevole discrezionalità intorno commercio – continua Cantrill – Infatti, una delle prime azioni da presidente di Trump è stata la cancellazione del Tpp, mossa prevista. Mentre non è noto l’approccio successivo che il nostro seguirà: seguirà i consigli del rappresentante dell’Us Trade Robert Lighthizer, che ha lavorato sotto il presidente Reagan e probabilmente ha un approccio più carota-e-bastone con i partner commerciali come la Cina? O sarà quelli più estremisti e protezionisti di Pietro Navarro, capo del nuovo National Trade Council?”. L’effetto benefico in Borsa è sulle società orientate ai consumi domestici, mentre quelle che hanno puntato a esternalizzare la produzione rischiano grosso. Un esempio? Le case auto, come Ford, Toyota, Gm bacchettate dal presidente per costruire in Messico auto da vendere negli Usa: a loro Trump ha promesso dazi altissimi. E un muro (che rischia di diventare fin troppo metaforico).

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