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Che cosa si sono detti Donald Trump e Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

A due settimane dall’inaugurazione della propria presidenza Donald Trump ha infine contattato anche l’ultimo degli alleati del G7, l’Italia. La conversazione telefonica c’è stata nel pomeriggio (ora di Washington) di sabato, un confronto “sereno e costruttivo” dicono le “fonti italiane” del Corriere della Sera. (“molto affettuosa secondo entrambi gli staff” aggiunge il Corsera).

Due i grandi argomenti sul tavolo: il primo è l’impegno nella Nato. L’argomento è diventato da tempo un pallino degli americani, che si sentono addosso il peso di circa il 70 per cento degli investimenti militari dell’Alleanza, quando secondo il patto di collaborazione tutti i membri dovrebbero impegnarsi a rispettare almeno il 2 per cento del Pil per gli investimenti in ambito di difesa (il patto è sforato da quasi tutti i governi che guidano i paesi della Nato, con l’Italia che si ferma intorno all’1). Era stato un richiamo già fatto da Barack Obama, una richiesta di impegno maggiore soprattutto in un contesto complicato come quello attuale, con la minaccia terroristica che si somma alle intemperie russe. Ora la questione diventa mantra di governo, con Trump che sta piantando le basi del riequilibrio in politica estera, ri-bilanciando i rapporti dare/avere a cominciare con gli alleati. E infatti il tema Nato è stato quello affrontato anche negli incontri tenuti dal vice presidente e dal segretario di stato americani con il ministro degli Esteri tedesco.

Alla questione impegno militare si aggancia inevitabilmente l’argomento terrorismo, e dunque il ruolo dell’Italia nell’azione e prevenzione. Roma ha come obiettivo la stabilizzazione libica, dove lo Stato islamico aveva piazzato il più grosso hotspot califfale al di fuori del Siraq. I baghdadisti che avevano alzato la propria roccaforte nella città costiera centrale di Sirte sono stati sconfitti dalle milizie misuratine fedeli al governo onusiano di Tripoli, aiutate dai bombardamenti americani e dal supporto medico sanitario italiano. Il gruppo però si è disperso sul territorio libico, e come dimostrato anche da un grosso raid aereo statunitense di poche settimane fa è tutt’altro che debellato. La preoccupazione si somma alla crisi politica interna, all’instabilità e alla diffusione endemica della criminalità collegata ai traffici illeciti, per primi quelli di uomini. Durante la conversazione con Trump il premier Paolo Gentiloni ha chiesto che all’Italia venga riconosciuta la leadership sul processo di sistemazione della Libia. Palazzo Chigi considera la situazione sufficientemente sotto controllo (anche se in itinere) , per questo ha riaperto l’ambasciata a Tripoli e pochi giorni fa ha chiuso un accordo con il governo locale internazionalmente riconosciuto (quello sponsorizzato dall’Onu ma ancora non definitivo) sul controllo dell’immigrazione; un accordo che ha però varie incognite e sensibilità. Speculazione: Washington non sembra troppo coinvolta negli affari libici al momento, ed è probabile che verrà lasciato a Roma il ruolo chiave (anche come forma di impegno da avere nell’attività di riequilibrio).

L’incontro personale ci sarà non prima di maggio, quando a Taormina è in programma il G7: nel frattempo continueranno i contatti discreti e meno formali tra gli staff governativi (ovvio il mantenimento dei rapporti commerciali). Prima della telefonata tra Trump e Gentiloni c’era stata già una chiacchierata telefonica tra il capo del Pentagono James Mattis e l’omologa italiana alla Difesa Roberta Pinotti. Il livello militare è uno dei punti di contatto più intensi in questo momento: pare per esempio che siano iniziate le operazioni armate dei velivoli senza pilota americani di stanza a Sigonella contro i terroristi in Libia, mentre le osservazioni dei Global Hawk seguono ormai missioni giornaliere raccogliendo intelligence su quelli che vengono descritti dai funzionari americani anche come piani per colpire l’Europa.

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