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Chi vuole la morte dell’eutanasia

“Quale eredità ci arriva da queste ultime due eutanasie procurate? La paura della morte e della sofferenza si supera con l’amore, è questo il volto più bello della vita umana. Altrimenti pensiamo agli anziani malati: perché non fare per tutti l’eutanasia?”. Sono le domande con le quali don Stefano Tardani, sacerdote del Movimento dell’Amore Familiare, parlando della morte di Dj Fabo e di Gianni Trez, il secondo italiano recatosi in pochi giorni nella clinica svizzera “dignitas” per darsi la morte, ha aperto il convegno promosso nella Casa Pastor Bonus di Roma dalla associazione Pro Vita. Dove, alla quiete e alla pacatezza del luogo, si sono sommati i volti preoccupati degli ospiti nell’ascoltare i relatori discutere attorno alla questione, declinata in un titolo che non lascia spazio a interpretazioni: “Eutanasia, nuovo olocausto”.

Espressione provocatoria, che richiama alla mente la frase pronunciata da Mario Adinolfi (“Hitler almeno non pagava per sterminare i disabili”, ha postato su Facebook il giornalista ultra cattolico, a cui è stato poi bloccato l’account), e che però acquista senso se accostata al concetto di eugenetica, la controversa teoria darwinista fatta propria dai regimi totalitari del novecento, e in particolare quello nazista. “Roosevelt, Churchill, Wilson, questi signori erano tutti eugenisti, ma i libri di storia non lo raccontano”, ha affermato il presidente di Pro Vita Toni Brandi (in foto). “E noi, oggi, che messaggio diamo alla società? Che chi è disabile, malato o povero va eliminato?”. Perciò, ha proseguito Brandi, la preoccupazione “non può essere quella di aiutare a morire ma di aiutare a stare meglio, ad amarsi. E si parla tanto si autodeterminazione: ma se un ragazzo si butta da un ponte, si cerca di salvarlo oppure no?”.

Il tema, l’eutanasia, naturalmente viene dibattuto alla luce della vicenda realizzatasi anche per mezzo dell’esponente radicale Marco Cappato, che ha accompagnato il musicista fuori dai confini e il giorno dopo si è costituito alla giustizia italiana, e che ora rischia fino a dodici anni di carcere. Ma soprattutto in vista della legge sul testamento biologico che, dopo aver concluso il suo esame alla commissione Affari Sociali della Camera, arriverà in aula il 13 marzo, dove “degli eroi stanno combattendo per la vita”, ha affermato Brandi. Aggiungendo però, in seguito, che “insieme ai Giuristi per la Vita – associazione che si batte in difesa della vita “dal concepimento alla morte naturale” –  stiamo preparando numerosi emendamenti per ritardarla”. Legge che tuttavia, come scrive il presidente della commissione Affari Sociali alla Camera Mario Marazziti sul suo blog, non si farà “sulla base della spinte emotive”, ma nella speranza “di un grande lavoro comune per rafforzare un punto di equilibrio che già in parte si è trovato”.

Rimane comunque il fatto che è stata la vicenda del giovane tetraplegico a sollevare il caso, in quello che per Brandi “è un piano ben preciso dei radicali. Andate su internet, e troverete: AAA cerchiamo malati terminali”. Sono quindi tutti i media, ha proseguito il presidente di Pro Vita, ad essere schierati in un’unica direzione: “negli Usa ci sono solo cinque stati che ammettono l’eutanasia, ma se ne parla come se fosse legale ovunque. In Europa sono solo sei: perché non specificano che ce ne sono ventuno che la rifiutano? C’è stato poi un ragazzo di diciannove anni in carrozzina che ha scritto a DJ Fabo per ricordargli il valore della vita. E ovviamente i giornali non hanno scritto una parola”.

La questione pertanto resta delicata perché, come noto, coinvolge aspetti fondamentali della fede cattolica, e per consolidare questa tesi don Stefano cita alcuni versi dell’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, dove si spiega che “tanto l’eutanasia quanto l’accanimento terapeutico sono entrambi due eccessi”. Anche se in definitiva, aggiunge il parroco, “non c’entra la religione”, ma “il buon senso e la ragione”: è uno scontro “tra chi ama la vita e chi no”. O meglio, con “gli empi che procurano la morte”.  E che perciò non riguarda solo una legge, ma un intero sistema di valori sociali e culturali, in cui la “banalizzazione della vita e la perdita del senso religioso permettono all’uomo stesso di decidere da sé quando debba vivere e morire. Facendo leva sui sentimenti, infatti, si stanno convincendo le persone che la loro vita non vale più nulla, e che sono solo un peso”. Per questo motivo, termina il parroco, “non serve una legge per far morire, ma per far vivere meglio. Bisogna far sentire alla persone malate quanto valgono e quanto per noi sono importanti. Non dobbiamo portarle a sentirsi considerate come degli scarti, come ci ricorda sempre Papa Francesco”.

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