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Come si evolve il pensiero del Corriere della Sera su Matteo Renzi e Andrea Orlando

Mani pulite spazzò via non un solo uomo, non un solo partito ma tutti quelli di governo, toccando solo marginalmente e quindi salvando l’allora Pds-ex Pci. E tutto col sostegno della cosiddetta grande stampa e delle televisioni, comprese quelle di Silvio Berlusconi. Il quale a sorpresa ne avrebbe tratto i frutti maggiori, nonostante i legami personali con i leader distrutti, irrompendo nella politica e vincendo le elezioni nel 1994.

Con la sua prima pagina di oggi, lunedì 6 marzo 2013, in apertura – credo non casuale – della settimana scelta da Matteo Renzi per lanciare la sua candidatura, o ricandidatura, alla segreteria del Pd nella cornice del Lingotto di Torino, proprio dove nacque dieci anni fa il partito col discorso di pre-investitura del suo primo segretario Walter Veltroni, il Corriere della Sera ha praticamente adottato – o sponsorizzato, come preferite – il concorrente più politico dell’ex presidente del Consiglio, cioè il guardasigilli Andrea Orlando.

L’altro concorrente di Renzi, il governatore pugliese Michele Emiliano, che casualmente – ma non troppo – è anche un testimone nell’inchiesta giudiziaria targata Consip, è troppo truce, acrimonioso, imprevedibile e discusso, per giunta con quell’ostinato rifiuto di dimettersi dalla magistratura dopo avere ormai scelto come mestiere o professione prevalente quella del politico, per potersi guadagnare il sostegno del primo giornale italiano, almeno per numero di copie vendute.

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La sponsorizzazione corrieristica della candidatura di Orlando alla segreteria del Pd nasce dal combinato disposto di un editoriale di Paolo Mieli e di un’intervista dello stesso Orlando raccolta dall’inviato di punta Aldo Cazzullo, che sa cogliere sempre dall’ospite di turno il meglio, inteso come contributo a capire la situazione.

L’editoriale di Mieli e l’intervista di Orlando contengono lo stesso giudizio negativo sulla corsa di Renzi per tornare a guidare il partito: una corsa viziata, secondo loro, da un obiettivo di “rivincita” che è di per sé un handicap nel quadro politico italiano, con partiti sfarinati e accidiosi, senza che si veda all’orizzonte una legge elettorale che possa aiutare a fare uscire dalle urne una maggioranza di governo. E’ un quadro che sta impensierendo sempre di più il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ai cui appelli un po’ pleonastici, diciamolo pure, alla “prudenza” ha preferito aggrapparsi l’editorialista del secondo giornale italiano: Stefano Folli su Repubblica.

Ma torniamo a Mieli, il sornione due volte ex direttore del Corriere, frequentatore assiduo di tutti i salotti televisivi, pubblici e privati, abituato come pochi altri a maneggiare e mescolare storia e cronaca politica, protagonista nel 2006, sempre in via Solferino, della sponsorizzazione del pur breve e sfortunato ritorno di Romano Prodi a Palazzo Chigi, che deluse e indispettì non pochi lettori.

Il mio amico Paolo ha avvertito che, a dispetto delle apparenze e della sicurezza ostentata da Renzi, la corsa di Orlando alla segreteria del Pd non può essere considerata perdente. Lo stesso Orlando, del resto, ha spiegato a Cazzullo ch’egli corre “per vincere”, non per testimoniare, cioè per perdere. “L’esito delle primarie -ha scritto Mieli – è sempre meno scontato”. E ancora: “La partita è aperta, apertissima”. Chi vuol dare una mano al giovane guardasigilli, di provenienza Pci, è quindi invitato a muoversi, magari tra quelli ancora solidali con Renzi.

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Una così esplicita e impegnativa adozione della candidatura di Andrea Orlando da parte del Corriere della Sera, salvo successivi ripensamenti o correzioni di rotta, significa naturalmente che il maggiore giornale italiano, di cui è da poco editore Urbano Cairo, il patron de la 7, ha scaricato di brutto Renzi. I cui rapporti con il giornale di via Solferino, a Milano, non sono stati del resto mai buoni, neppure prima dell’arrivo di Cairo.

Ci sono direttori del Corriere che proprio per i cattivi rapporti con Renzi ci hanno anche rimesso il posto. Mi riferisco naturalmente a Ferruccio de Bortoli, che si tolse la soddisfazione, lasciando l’incarico, di dare all’allora presidente del Consiglio, oltre che segretario del Pd, del “maleducato di talento”. Ma poi il Corriere sarebbe tornato ad affidarsi agli editoriali dell’ex direttore, senza ch’egli cambiasse idea su Renzi, né sul piano politico né sul piano personale.

Quasi come controprova dell’adozione della candidatura di Orlando alla segreteria del Pd c’è la valorizzazione che il Corriere ha voluto fare di Paolo Gentiloni e del suo governo, sottolineandone nel titolo più vistoso di prima pagina il carattere “non a termine” e “rassicurante”, vantato dallo stesso presidente del Consiglio a Domenica in, davanti a un Pippo Baudo oltremodo ossequioso, e non solo ben educato, come deve essere naturalmente ogni buon conduttore televisivo. Quell’aggettivo rassicurante va letto, senza malizia, ma per dovere d’informazione, in relazione al governo che ha preceduto quello oggi guidato dal conte Gentiloni: il governo cioè di Renzi.

Sul carattere “non a termine” dell’esecutivo in carica va tuttavia detto che un termine comunque esso ce l’ha. Ed è la conclusione ordinaria della legislatura, fra meno di un anno.

Anche senza voler considerare incidenti o trappole – dai referendum promossi dalla Cgil sui temi del lavoro alle elezioni amministrative di primavera, per esempio –  capaci di provocare con una crisi le elezioni anticipate, non è molto quel meno di un anno che il governo ha a disposizione per portare a termine il suo compito o programma. In cui rientra adesso anche la riduzione delle tasse sul lavoro, come Gentiloni ha detto in televisione, oltre all’obbligatoria legge finanziaria del 2018.

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