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Psa-Opel, come e perché in Germania i mugugni si stanno smorzando

Alla conferenza stampa di ieri a Parigi nella quale veniva annunciato il divorzio definitivo, dopo 90 anni di convivenza – a volte più e a volte meno soddisfacente – tra Opel e General Motors, c’erano, oltre al Ceo di PSA Peugeot Citroën Carlos Tavares, anche la numero uno di GM Mary Barra, arrivata appositamente dagli States, e Karl-Thomas Neumann attuale boss di Opel. Le cifre dell’accordo sono note: Tavares ha sborsato complessivamente 2,2 miliardi di euro, di cui 1,3 per la parte industriale e il resto attraverso una joint venture tra l’istituto BNP Paribas e Opel Bank.

La somma si compone di contante e di titoli, tra cui anche alcuni opzionabili, che permettono a GM di avere una partecipazione minima in PSA. Ci si aspetta che a fusione completata, cioè al più tardi nel 2026 (perché riguarda ovviamente anche gli impianti industriali), l’effetto sinergia possa produrre un risparmio annuale di 1,7 miliardi di euro. Opel potrà inoltre proseguire nella messa a punto del modello elettrico Ampera-e, che sarà sul mercato già quest’estate. PSA pagherà i diritti di licenza agli americani.

La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha commentato con una certa sobrietà e distacco il passaggio di mano di Opel, quasi a dire che ogni considerazione in merito all’accordo raggiunto è da considerarsi prematura. Secondo il quotidiano austriaco Der Standard, la nuova liaison è probabilmente l’unica chance che Opel ha di invertire la direzione. E di questo avviso è, più o meno, anche il quotidiano economico Handelsblatt. Forse Tavares ce la può fare veramente a ridare lustro e soprattutto competitività al marchio tedesco e a trasformare il trio Opel, Peugeot e Citroën in un campione europeo non solo per grandezza, ma anche per volumi. In fondo, si ricorda, che quando Tavares è arrivato qualche anno fa alla Peugeot, anche la casa automobilistica francese era talmente malconcia da necessitare di una iniezione di soldi pubblici per rianimarsi.

La ricetta che Tavares – noto per essere uno che le sfide non solo le ama ma anche le cerca – intende mettere in campo è semplice, quanto astuta (anche sotto un profilo di responsabilità imprenditoriale nei confronti della politica). Tavares non dà garanzie – scrive il quotidiano Die Welt – ma dice: “L’unica nostra protezione è il risultato. La svolta di Opel deve essere realizzata dalle maestranze e dal management stesso di Opel. Possono farcela, dipende esclusivamente da loro”. Detto con altre parole, Opel nella gestione resta autonoma e per quanto possibile indipendente, e se non ce la dovesse fare, la responsabilità sarà di Opel, non dei francesi.

Il management si mostra dunque fiducioso e così fa la politica, dopo un’iniziale irritazione per non essere stata messa al corrente prima delle trattative. Irritazione appianata poi grazie a una telefonata di Tavares ad Angela Merkel. Il ministro dell’Economia, la socialdemocratica Brigitte Zypries, si è detta rassicurata del fatto che Opel manterrà una certa autonomia produttiva, che i contratti collettivi non verranno toccati e che non ci saranno tagli. Ben inteso, queste garanzie varranno fino al 2018 o, al massimo, fino al 2020.

Stesso ottimismo lo ha mostrato anche il sindacato, deciso a considerare il bicchiere mezzo pieno. E così il capo di IG-Metall Jörg Hoffmann ha fatto sapere di “valutare l’accordo nel suo insieme positivamente, anche se poi, certo, bisognerà valutare punto per punto cambiamenti e ripercussioni”. Positivo è, a suo avviso, il fatto che le due industrie automobilistiche sono attive su mercati diversi, la fusione aprirebbe dunque a tutte e entrambe nuovi sbocchi.

Una visione ottimistica non proprio condivisa dai diretti interessati. Nelle interviste condotte dalla tv pubblica ARD davanti ai cancelli delle fabbriche di Opel, le maestranze si mostravano preoccupate e irritate soprattutto per una tempistica che a loro avviso non promette nulla di buono.

Anche la valutazione di alcuni analisti – per quanto i motivi siano ben diversi da quelli dei lavoratori – non è proprio euforica. Secondo l’istituto di credito svizzero UBS, è vero che PSA ha acquistato Opel a un prezzo interessante. Solo che l’arrivo di Opel aumenta dal 72 all’80 per cento la quota di mercato europea di PSA, mentre i modelli Opel non risulterebbero attrattivi per il mercato cinese. Anche Ferdinand Dudenhöffer, direttore del Center Automotive Research dell’Università di Duisburg, si mostra cauto, in particolare per quel che riguarda l’occupazione. A suo avviso questa unione cancellerà almeno 6.000 posti. E il fatto che il sindacato voglia vedere il bicchiere mezzo pieno, è perché sa perfettamente che sotto GM la cura sarebbe stata ben più drastica.

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