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Vi racconto verità e frottole sull’Ilva dopo le offerte di ArcelorMittal e Jindal

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L’accordo raggiunto nei giorni scorsi al ministero dello Sviluppo Economico fra l’Ilva e i Sindacati dei metalmeccanici sulla cassa integrazione straordinaria merita qualche ulteriore riflessione che si accompagna all’unanime soddisfazione di tutti coloro che, lavorando con impegno al tavolo presieduto dal vice ministro Teresa Bellanova hanno posto le condizioni che consentono di attenuare fortemente il disagio di una parte consistente dei lavoratori del Siderurgico.

Un primo risultato riguarda il numero di coloro che saranno interessati dal provvedimento di cigs che non raggiungeranno più le 4.984 unità, come richiesto dall’azienda il 31 gennaio scorso, ma 3.300 in tutto, delle quali 3.240 a Taranto e 60 a Marghera, ove è presente un deposito della società. In realtà – ed è questo un secondo risultato ottenuto dai dirigenti sindacali con il pieno appoggio del governo – la media degli addetti effettivamente coinvolti sarà di 2.495 unità nel sito ionico e di 35 a Marghera. Per 800 lavoratori la cigs sarà a zero ore, essendo addetti ad impianti che saranno totalmente fermi, ma per un 20% delle ore lavorabili essi saranno coinvolti in programmi di formazione e riqualificazione professionale o affiancamento lavorativo.

Per tutti gli altri, invece, la rotazione della cigs sarà bisettimanale. Inoltre nei giorni scorsi il Parlamento ha approvato la legge per il Sud che stanzia su proposta del governo 24 milioni per conservare ai lavoratori in cassa integrazione lo stesso trattamento economico dei contratti di solidarietà del 2016, ovvero il 70% della retribuzione. I 24 milioni – che rivengono da un fondo del ministero del lavoro – sono riferiti ad una platea di 3.500 unità.

Sin qui i contenuti di un buon accordo definibile come ‘difensivo’ e che ha visto tutte le parti in causa – azienda, Sindacati, governo – lavorare con impegno per quanto di rispettiva competenza per il raggiungimento di un risultato apprezzabile, come auspicato anche dalla Regione Puglia e dal presidente Emiliano che ha seguito personalmente la trattativa.

Ma tale accordo in realtà è caduto a pochi giorni dal 6 marzo quando sono state presentate le offerte economiche vincolanti da parte delle due cordate in lizza per l’acquisto del gruppo; e se pure questa data non può certo considerarsi conclusiva dell’intera vicenda – potendo infatti i Commissari richiedere anche successivi rilanci qualora non ritenessero congrua l’offerta, secondo le stime del loro advisor Leonardo – è del tutto evidente che si è incominciato ad avere una prima, chiara percezione di quanto i potenziali acquirenti siano effettivamente disposti ad offrire, almeno in prima battuta, per aggiudicarsi l’intero compendio societario e soprattutto il sito di Taranto.

Intanto bisogna rilevare preliminarmente che se due cordate di assoluto standing imprenditoriale avanzano proposte di acquisto del Gruppo Ilva e soprattutto del suo sito di Taranto, è del tutto evidente che quel gruppo e il suo più grande stabilimento non sono affatto dei reperti di archeologia industriale, bensì, al contrario, impianti che fanno gola a suoi grandi concorrenti. Lo andiamo affermando da anni, da quando cioè – anche a seguito delle vicende giudiziarie – si sono venute facendo sempre più insistite le richieste di dismissione coatta della grande fabbrica ionica, e non invece di una sua radicale bonifica, difendendone però produzione e occupazione.

Siamo, insomma, in procinto di entrare in una fase molto delicata di questa complessa procedura di aggiudicazione che merita di essere seguita dall’opinione pubblica con grande e partecipe attenzione, finalizzata per quanto possibile al miglior esito della vendita di un insieme impiantistico fra i maggiori d’Europa che concorre – è bene non dimenticarlo mai – a conservare all’Italia il ruolo di grande potenza manifatturiera europea e mondiale.

Allora in tale contesto è dispiaciuto enormemente constatare come nella nuova manifestazione che nei giorni scorsi ha attraversato le strade della città – e alla quale hanno partecipato poco più di 2.000 persone molte delle quali però venute da altre parti d’Italia – si siano uditi ancora una volta slogan volti solo a far chiudere la fabbrica, invece di sollecitarne una radicale bonifica e l’introduzione di tecnologie e di processi produttivi che potrebbero e dovrebbero drasticamente limitarne gli effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute di operai e cittadini.

E non deve allora meravigliare gli organizzatori del corteo che la stragrande maggioranza dei cittadini di Taranto – come accaduto già altre volte in passato – non abbia affatto condiviso la principale parola d’ordine della manifestazione, ignorandone di fatto lo svolgimento e non partecipandovi.  E nessuno pertanto deve pensare (o illudersi) di avere il monopolio della piazza, perché se fosse necessario – qualora malauguratamente si profilassero concreti rischi di dismissione del Siderurgico – i suoi 10.984 dipendenti, con i loro familiari e con gli addetti (e loro familiari) delle aziende dell’indotto, scenderebbero anch’essi in pazza – come già successe con cortei oceanici il 31 marzo, il 27 luglio e il 2 agosto del 2012, per gridare il loro no alla chiusura della fabbrica ed invece il loro sì alla sua bonifica e al rinnovamento profondo del ciclo produttivo con l’introduzione del preridotto di ferro e l’uso anche di forni elettrici, accanto agli attuali altiforni.

Se ne facciano pertanto una ragione tutti coloro che da anni ostinatamente si battono per la chiusura dell’acciaieria, invece che per una sua rapida modernizzazione ecosostenibile: il territorio ionico e pugliese, il governo e il Paese intero, non faranno mai regali a chi – nella Commissione di Bruxelles, o a Duisburg in Germania ove sono in esercizio grandi impianti concorrenti a ciclo integrale della Thyssen Krupp – spera da tempo di poter infliggere un colpo di maglio all’industria siderurgica italiana spezzandone irreversibilmente la colonna vertebrale costituita dall’impianto tarantino.

Lo abbiamo già affermato altre volte, ma sentiamo il bisogno di ribadirlo perché in queste settimane e nei prossimi mesi ci stiamo giocando oltre 50 anni di politica siderurgica nazionale in cui il capoluogo ionico ha avuto un ruolo di assoluto protagonismo.

E, se ci è consentita un’ultima considerazione, sarebbe interessante ascoltare sull’intera vicenda e sull’impegno di governo e Regione Puglia per favorirne un esito costruttivo e non traumatico cosa ne pensino, fra gli altri, quei dirigenti del Pd che, lasciando questo partito, hanno aderito ai Democratici e progressisti rimproverando ai loro ex compagni di avere dimenticato il mondo del lavoro e di essersene allontanati. L’impegno quotidiano del governo, e in particolare dei ministro De Vincenti, della viceministra Bellanova e del presidente Emiliano per uno sbocco costruttivo e tecnologicamente innovativo connesso all’ormai prossimo passaggio di proprietà dell’Ilva non sta invece a dimostrare proprio il contrario ?

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