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Ecco le mire di Rosneft e Gazprom in Libia

Di Umberto Profazio

Il 21 febbraio scorso, la National Oil Corporation (Noc) libica ha firmato due accordi commerciali con la compagnia russa Rosneft. Il primo prevede la creazione di un comitato di lavoro congiunto per valutare le opportunità di investimento presenti in diversi ambiti, fra cui l’esplorazione e la produzione. Il secondo, invece, comunemente definito come ‘offtake agreement’, stabilisce l’obbligo per la Rosneft di acquisire totalmente, o in parte, la produzione risultante dalla cooperazione con la Noc.

IL CAMBIO DI ROTTA DELLA NOC

Annunciando la firma degli accordi, il presidente della Noc Mustafa Sanalla ha espresso la sua soddisfazione, sottolineando come la compagnia russa possa giocare un ruolo importante e costruttivo in Libia. L’accordo è il primo risultato della nuova strategia di Sanalla, basata sull’incoraggiamento delle principali multinazionali del settore a investire nuovamente nel Paese.

Il cambio di rotta era stato prospettato da Sanalla stesso durante la conferenza dello scorso 24 gennaio a Londra sulle prospettive energetiche della regione. In tale occasione, il presidente della Noc aveva annunciato l’obiettivo di aumentare l’output fino a 1,25 milioni di barili di petrolio al giorno entro la fine del 2017 e raggiungere 1,6 milioni entro il 2022.

Le prospettive della Noc sono migliorate a seguito della conquista dei terminal petroliferi della Libia orientale da parte della Libyan National Army (Lna). Nel settembre 2016, l’Lna è riuscita a occupare l’area del “crescente petrolifero”, dove sono situati i porti di Brega, Zueitina, Ras Lanuf e Es Sider.

Il generale Khalifa Haftar, comandante supremo dell’Lna, ha deciso di riconsegnare i porti (e soprattutto i proventi delle esportazioni petrolifere) alla Noc di base a Tripoli, nonostante la Camera dei rappresentanti di base a Tobruk riconosca solo l’autorità della Noc “parallela” di base nell’est del Paese e guidata da Nagi Maghrabi.

Approfittando della riconsegna dei terminal, la Noc è riuscita a risollevare la produzione petrolifera dal minimo storico dei 200.000 barili di petrolio al giorno dello scorso agosto ai 700.000 di inizio 2017. La crescita è stata consentita anche dalla riattivazione dei giacimenti petroliferi occidentali di Sharara ed el-Feel e dalla riapertura dell’oleodotto al-Rayana, controllato fino ad allora dalle milizie di Zintan.

L’aumento della produzione ha migliorato le prospettive della Noc, convincendo Sanalla dell’opportunità di superare la moratoria sugli investimenti nel settore petrolifero che la Libia si è autoimposta dal 2011.

IL DOPPIO GIOCO DI MOSCA

L’accordo con la Rosneft risulta in linea con il cambio di rotta della Noc. La compagnia russa andrà quindi ad aggiungersi a Eni (la cui presenza in Libia è stata costante anche nei momenti più difficili), Total e Schlumberger, che hanno ripreso da poco le attività.

Rosneft, inoltre, non sembra essere l’unica compagnia russa interessata a investire in Libia. A inizio marzo, nel corso della visita a Mosca del primo ministro del governo di unità nazionale (Gna) Fayez al-Sarraj, la delegazione libica ha anche discusso del possibile ritorno nel Paese di Gazprom, già in possesso di due concessioni presso il giacimento di Jalu.

Durante gli incontri con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e quello del Commercio e dell’industria Denis Manturov, è stata anche avanzata l’ipotesi di una riattivazione degli accordi firmati prima della caduta del regime di Gheddafi che prevedevano, tra l’altro, la costruzione di una linea ferroviaria tra Sirte e Bengasi.

Tali sviluppi hanno fatto luce sul crescente ruolo giocato dalla Russia nelle vicende libiche, rivelando una strategia di penetrazione complessa. L’incontro tra Lavrov e Sarraj è servito a ribadire la posizione ufficiale di Mosca nel sostenere la necessità di emendare il Libyan Political Agreement firmato a Skhirat nel dicembre 2015, prevedendo una maggiore inclusione delle autorità orientali e dello stesso Haftar nella formazione di un governo di unità nazionale e nella creazione di istituzioni militari maggiormente rappresentative.

Tuttavia, l’apparente neutralità russa nelle vicende libiche emersa dalla vetrina offerta a Sarraj a Mosca, contrasta con il sempre più crescente sostegno al generale Haftar,vera e propria costante della politica di Mosca negli ultimi mesi.

Oltre alla visita dello stesso Haftar sulla portaerei Kutznetsov lo scorso 11 gennaio, a confermarlo sono le sempre più frequenti voci sull’invio di armi russe all’Lna.

Tra i vari accordi firmati nel 2008, vi era infatti anche la cancellazione del debito contratto nei confronti di Mosca in cambio dell’acquisto di armi russe, necessarie per riammodernare il sistema di difesa libico dopo le sanzioni e l’isolamento internazionale degli anni ’90. Ebbene, nonostante l’embargo sulle armi in vigore in base alla risoluzione del Consiglio di sicurezza 1970/2011, diverse fonti hanno discusso la possibilità di una riattivazione di questi accordi, con l’Lna quale principale beneficiario.

I DUBBI SUL GENERALE

Per superare le prevedibili difficoltà logistiche è stata avanzata l’ipotesi di un coinvolgimento dell’Algeria, cliente storico di Mosca in materia di armamenti. Tuttavia il principale ostacolo a tale disegno risulta l’avversione della stessa Algeria per Haftar, il cui soggiorno ad Algeri lo scorso dicembre non sembrerebbe aver convinto i dirigenti dell’affidabilità del personaggio, anche alla luce dell’aperto sostegno che l’Egitto ha assicurato al generale.

La questione dell’affidabilità di Haftar interessa naturalmente pure la Russia, anche a seguito dei recenti rovesci subiti dall’Lna. L’offensiva del 3 marzo scorso da parte delle Benghazi Defence Brigades, milizia islamista che ha più volte tentato incursioni nel “crescente petrolifero”, ha messo a nudo le debolezze dell’esercito di Haftar, costretto a ritirarsi dai terminal di Ras Lanuf e Es Sider.

Lo smacco subito dall’Lna ha aumentato i dubbi di Mosca sull’opportunità di investire esclusivamente su Haftar nello scacchiere libico, giustificando una strategia di diversificazione che coinvolgerebbe anche Sarraj. Per il Cremlino, l’invio di armi ad Haftar, in aperta violazione dell’embargo, risulterebbe un azzardo difficilmente giustificabile alla luce dell’incapacità dell’Lna di difendere un’area cruciale per le sorti dell’intera economia del Paese.

Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Research Assistant per l’International Institute for Strategic Studies, Senior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism Studies e Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation.

(Articolo tratto dal sito AffarInternazionali

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