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Perché avrei votato contro la decadenza da senatore di Augusto Minzolini

Augusto Minzolini

Il voto del Senato sul caso Minzolini continua a far discutere. Quelli che lo criticano sostengono una tesi molto chiara: la legge Severino va applicata in automatico. Se si ritiene che si tratti di norme sbagliate, allora il Parlamento ha il potere e il dovere di abrogarle o di modificarle, ma non è autorizzato a contestare, nei fatti, il contenuto di una sentenza passata in giudicato che produce degli effetti per quanto riguarda la decadenza del parlamentare condannato oltre una certa soglia di pena. C’è addirittura chi ha parlato di sentenza eversiva o evocato persino la protesta violenta dei cittadini. Personalmente, da deputato nella passata legislatura, non ho votato la legge Severino (che considero vergognosa) perché intravvedevo dei pericoli nell’inclusione di nuovi reati (tra cui proprio il traffico di influenze) che avrebbero concesso alle procure ulteriori spazi nella lotta alla politica. Ciò detto, il caso Minzolini – si parva licet – ripropone a mio avviso il possibile conflitto tra legalità e giustizia, nel senso che non si tratta affatto di sinonimi, ma di concetti che dovrebbero tendere a giustapporsi ma che a volte si divaricano e vanno in direzioni opposte. Legalità significa conformità alle leggi; giustizia significa porre riparo ai torti subiti. L’applicazione puntuale di una legge sbagliata non rende giustizia (tanto che nel discorso delle beatitudini, Gesù si rivolge anche a coloro che soffrono per la giustizia). Ma come si fa a capire se e quando è giusto non applicare una legge?

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Mentre riflettevo su questi principi mi è venuto in mente un bellissimo film di alcuni decenni or sono, dal titolo italiano di ‘’Vincitori e vinti’’ (Regia di Stanley Kramer del 1961). L’azione si svolge nel 1948, ormai alle ultime battute dei Processi di Norimberga. E’ già in atto la Guerra fredda e gli americani intendono chiudere in fretta questo capitolo. Un giudice ormai in pensione (interpretato da Spencer Tracy) e sconfitto nelle elezioni per il rinnovo della carica, viene inviato a presiedere una Corte incaricata di processare alcuni alti funzionari nazisti, tra cui un importante magistrato e insigne giurista (interpretato da Burt Lancaster) che non era particolarmente compromesso con il regime, ma che, nel suo ruolo giurisdizionale, ne aveva applicato le leggi, anche quelle razziste. L’ex giudice tedesco tiene durante il processo un comportamento più che dignitoso, al punto di impedire al suo avvocato (Maximilian Shell) di esercitare un’efficace difesa e di riconoscere le proprie responsabilità. Al momento della sentenza il collegio giudicante si divide e diventa decisivo per la condanna il voto del presidente, nonostante che, a livello personale, avesse simpatia per l’imputato.

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Prima di rientrare negli Usa l’ex giudice si reca a visitare in carcere il collega tedesco, il quale gli pone l’eterno dilemma tra legalità e giustizia. Come, quando e perché un giudice sbaglia nell’applicare la legge? Gli risponde l’americano: ‘’Quando, in ossequio alle leggi che applica, si accorge di condannare un innocente’’.

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Che senso ha questa storia? L’ho presa alla lontana, ma intendevo spiegare perché avrei votato contro la decadenza da senatore di Augusto Minzolini.

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