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Benvenuti nella fattoria democratica di Bersani tra mucche, giaguari e tacchini

Persino Massimo D’Alema, che certo non si risparmia quando si mette in testa un obiettivo, com’è quello che lo accomuna a Pier Luigi Bersani di espellere dalla sinistra quell’intruso di Matteo Renzi, ha ritenuto di prendere le distanze dal compagno ora di Dp, sigla rovesciata dell’abbandonato Pd, nell’inseguimento di Beppe Grillo.

“Meglio soli” a continuare a sognare “il 51 per cento” dei voti, ha detto l’ex deputato di Gallipoli, piuttosto che offrire ai grillini dopo le prossime elezioni i voti che dovessero mancare per la fiducia ad un loro governo rigorosamente monocolore. E questo solo per togliersi la soddisfazione di vedere Renzi all’opposizione con gli odiati Silvio Berlusconi, Denis Verdini e Angelino Alfano. Che ormai non si parlano più fra di loro, forse neppure per scambiarsi gli auguri di compleanno e simili, ma sono ugualmente accomunati da Bersani in quella “robaccia di destra” che minaccia la democrazia italiana. E di cui la famosa “mucca” penetrata nella sede del Pd, al Nazareno, ha potuto per mesi e mesi riempire corridoi e uffici senza che nessuno ne avvertisse la puzza: neppure il “tacchino” che vaga sul tetto dell’edificio.

Le metafore di Bersani sono ormai mitiche, come quelle delle bambole da pettinare e del giaguaro da smacchiare, ma gli sono servite a ben poco, visto che anche nel nuovo inseguimento di Grillo egli è riuscito solo a raccoglierne il dileggio, sino a rimediarsi la qualifica di “pugile suonato”. O un morso alla mano, secondo un titolo un po’ da canile dell’Unità, che il giorno prima se l’era cavata con una vignetta contro “le emozioni” troppo forti cercate dal deputato di Bettola.

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A qualcosa comunque è servito l’ostinato ritorno di Bersani, se mai se ne fosse allontanato, all’inseguimento dei grillini, promossi addirittura ad un ruolo “di centro” nello scenario politico italiano: un centro attorno al quale tutto dovrebbe quindi muoversi, come fu una volta per la Dc e avrebbe potuto essere per il Pd, sempre secondo la versione di Bersani, se non gli fosse capitata la disgrazia non di perdere, o non vincere, le elezioni del 2013 ma di imbattersi in una prima e poi addirittura in una seconda, ormai scontata segreteria di Renzi: sempre lui, eternamente lui, ossessivamente lui.

E’ servita, l’ostinazione filogrillina di Bersani, a fornire altro carburante politico a Grillo, anche se, da buon figlio di benzinaio, l’ex segretario del Pd ritiene che il distributore frequentato dal comico genovese sia quello di Renzi, che pompa regali alle banche e ai ricchi proprietari di case, tutti immaginati ad abitare in appartamenti condominiali, anziché in ville regolarmente sottoposte all’Imu. Altri regali di Renzi alla fame di qualunquismo e di demagogia dei grillini sarebbero stati la difesa del ministro dello Sport Luca Lotti, coinvolto nelle indagini sugli appalti della Consip, e la partecipazione -col voto palese, inteso come sfrontato, di 19 senatori del Pd, di cui 15 collocabili nell’area renziana- al salvataggio di quel pericoloso criminale che sarebbe Augusto Minzolini dalla decadenza  parlamentare un anno e mezzo dopo una condanna definitiva per peculato alla Rai. Che però è stata condannata da un altro giudice a restituire all’ex direttore del Tg 1 i soldi da questi versati all’azienda volontariamente per saldare i conti che gli erano stati contestati.

Fior di giuristi si stanno ancora accapigliando sullo “scandaloso” salvataggio del senatore Minzolini. Poco ci manca che non venga reclamato lo scioglimento anticipato quanto meno del Senato per l’insopportabile offesa allo Stato di diritto, annessi e connessi, ma nessuno riesce a spiegare decentemente la logica di un sistema giudiziario –si fa per dire- nel quale si può essere condannati penalmente per un peculato negato in sede civile. Ma non fa niente. E’ sempre benzina -ragiona Bersani- che si mette nel serbatoio dell’automobile di Grillo, cui lui intanto -sempre Bersani- pulisce i vetri e controlla la pressione delle gomme.

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Nel frattempo, per non parlare della nostra Roma blindata per la celebrazione dei 60 anni dei trattati europei, accadono nel mondo cose che potrebbero coinvolgerci ancora più di quanto già non lo siamo: da Washington a Londra, da Bruxelles a Berlino, dall’Aja ad Ankara e alle acque del Mediterraneo, dove continuiamo a raccogliere quotidianamente migliaia di immigrati che nessuno sa come sistemare. Ma le urgenze, le priorità, chiamatele come volete, della nostra politica e del nostro Parlamento sono altre.

A dettare l’agenda della politica italiana sono la mattina il vice presidente grillino della Camera Luigi Di Maio e la sera l’incompreso Bersani. Dio li fa e poi li accoppia.

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