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Che cosa insegna la strage Isis a Londra

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L’unica arma che aveva era un coltello. L’unico mezzo che ha usato per farsi scudo tra la gente e i poliziotti è stata un’auto nera occupata da lui soltanto, il conducente e assassino. E poi l’assalitore non transitava lungo una strada periferica e incustodita, ma nel centro di Londra che più centro non si può: sotto il Big Ben e per colpire il simbolo politico più importante che l’Occidente conosca, il palazzo di Westminster, dove ha sede il Parlamento della democrazia più antica del continente.

Eppure, quest’uomo solo è riuscito a investire una dozzina di passanti e a ucciderne tre prima d’essere ucciso. Ha trasformato l’atto di terrorismo in una diretta in mondovisione. Ha fatto tremare i governi, inducendo le autorità a “mettere in salvo” la premier May.

Si fa presto, allora, a dire “sicurezza”, quando basta così poco per destabilizzare così tanto. Quando è sufficiente la cronaca nerissima oltre Manica per ricordare, uno dopo l’altro, gli attacchi di matrice islamica che insanguinarono la Francia, il Belgio, la Germania e la stessa Inghilterra. E sabato prossimo noi ospiteremo a Roma la riunione dei ventisette Paesi dell’Unione – esclusa proprio la Gran Bretagna, appena uscita e ferita -, per celebrare i sessant’anni. In un clima che si può immaginare, e non solo per la temuta infiltrazione dei black bloc nell’annunciata manifestazione contro il vertice. Ora l’attentato di Londra fa scattare un allarme rosso di ben altra natura.

L’attacco al Parlamento inglese testimonia che è impossibile garantire la sicurezza, ma che è un dovere provarci. E se i nostri investigatori e 007 hanno finora dimostrato una capacità preventiva e operativa encomiabile, l’ordinamento lascia zone d’ombra inaccettabili nell’epoca, purtroppo ancora lunga e dolorosa, del terrore.

L’ultima assurdità l’ha scoperta la Procura di Catania (con pronunce che confermano): per gli scafisti, artefici del più odioso delitto, che è il traffico di esseri umani, potrebbe valere lo “stato di necessità”. Perché anche loro, giovani, sarebbero “vittime” di organizzazioni criminali.

Attenzione: di tutto abbiamo bisogno, fuorché di difendere la nostra libertà con norme evidentemente scritte coi piedi. Il governo intervenga subito, anche con un decreto-legge, per togliere ogni buco e ogni alibi alla rete della sicurezza nazionale. Dev’essere impenetrabile e immune ai soliti cavilli dell’impunità e dell’indecenza.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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